Onda coreana: le origini della rivoluzione pop

Onda coreana spiegata origini

Tutti ricordiamo quel fenomeno mondiale che fu Gangnam Style di Psy nel 2012: un video coloratissimo, una coreografia contagiosa e miliardi di visualizzazioni su YouTube. È stato il primo segnale che la Corea del Sud stava per imporsi sulla scena globale.

Poi, nel 2020, Parasite ha fatto la storia, diventando la prima pellicola non in lingua inglese a vincere l’Oscar per il miglior film. Per non parlare di Squid Game (2021): lo show più visto di sempre su Netflix, che ci ha tenuti incollati allo schermo con il suo mix di tensione e feroce critica sociale.

Con queste tre tappe la Corea del Sud è entrata con decisione nelle nostre vite, conquistando l’attenzione di tutto il mondo. Dai kdrama al K-pop, dai prodotti di skincare ai ristoranti coreani che spuntano ovunque nelle nostre città. La Korean Wave ci ha travolti! E’ una rivoluzione culturale che ha ridefinito la nostra idea di intrattenimento e persino il nostro stile di vita.

Ma come siamo arrivati fin qui?

Oggi inauguriamo un ciclo di articoli che ci porterà alla scoperta dell’ascesa dell’onda coreana e del suo impatto qui in Italia.

Con questo primo articolo entreremo subito nel vivo. Ci chiederemo: come ha fatto un Paese che negli anni ’80 era ancora oppresso da una dittatura militare a diventare la punta di diamante della cultura pop globale? Dove affondano le radici di questa rivoluzione culturale che chiamiamo Hallyu?

Se siete pronti a percorrere questo lungo cammino con me, non vi resta che restare sintonizzati e lasciarvi travolgere dall’onda coreana…

Un interrogatorio notturno nella stazione di polizia di Seoul segnò l’inizio di qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere. Torturato per le sue idee, uno studente universitario morì. In una Corea dominata dal controllo militare, questo evento avrebbe dovuto rimanere un oscuro segreto, ma la verità trovò la sua strada.

When the day comes onda coreana nascita

Interpretato da una talentuosissima Kim Tae-ri, 1987: When the Day Comes è un film del 2017 che racconta questa storia. Prendendo spunto da fatti realmente accaduti, mostra come un singolo atto di violenza possa diventare il catalizzatore che unisce il Paese in una causa comune. Un procuratore decide di mettere in gioco la sua carriera per la giustizia; i giornalisti sfidano il blackout informativo per portare alla luce la verità; le persone superano la paura e scelgono di manifestare per le strade.

Il 1987 fu l’anno in cui il Paese si trovò a un bivio storico. In un clima di tensione palpabile, i cittadini chiedevano a gran voce democrazia, contrastando il rigido controllo governativo. Dopo decenni di crescita economica accelerata, il Paese stava affrontando una penosa contraddizione.

Da un lato, il tenore di vita aveva nettamente migliorato le condizioni della popolazione. Dall’altro, il regime militare che da anni era al potere opprimeva ogni forma di libera espressione e di dissenso. La popolazione, soprattutto i giovani e la classe operaia, iniziava a mal sopportare il peso dell’autorità. Le università divennero focolai di attivismo politico, con studenti che chiedevano riforme democratiche e la fine della legge marziale. When the Day Comes è esemplare nel documentare la combinazione tra atti di coraggio individuali e l’inarrestabile forza della collettività che caratterizzarono quel periodo cruciale, e ci permette di comprendere come questi eventi abbiano influenzato le generazioni future e contribuito a modellare l’identità nazionale coreana

Il 1987 non fu solo l’anno in cui la Corea del Sud si confrontò con i suoi demoni interni. Fu il momento in cui una nuova coscienza collettiva prese forma, spingendo verso un futuro in cui la parola ‘democrazia’ iniziava finalmente a trovare spazio.

Numerose vicende drammatiche sconvolsero il Paese, come ad esempio il bombardamento del volo 858 della Korean Air da parte di agenti nordcoreani. Fu un tragico promemoria delle cicatrici lasciate dalla divisione della penisola alla fine della Seconda Guerra Mondiale ed ebbe un’eco ben oltre i confini nazionali.

Corea del Nord Corea del Sud

Ma quell’anno oltre alle sfide segnò anche l’inizio di una trasformazione. Dalle ceneri del conflitto e della tensione, emerse la promessa di un futuro di apertura e innovazione. L’esito delle elezioni presidenziali spianò la strada a un’era di rinascita culturale e politica.

La fine della repressione e l’avvento della democrazia aprirono nuovi spazi per la libertà d’espressione, consentendo alle arti e alla cultura di fiorire come mai prima d’ora. Fu in questo clima di rinnovato ottimismo che si piantarono i semi di quella che a breve sarebbe diventata la Korean Wave, una delle tante espressioni con cui è conosciuto il fenomeno globale della cosiddetta «onda coreana»: un insieme di contenuti culturali e artistici innovativi, che spaziano dalla musica al cinema, dalle serie TV alla letteratura, dalla moda alla cucina, che ha iniziato a catturare l’attenzione di un vasto pubblico internazionale, ben oltre i confini della Corea.

La storia di questo Paese è ricca di momenti di rottura e rinascita.

Reply 1988 è un drama del 2015 che ci porta direttamente nel cuore di un quartiere di Seoul nell’anno delle Olimpiadi, tratteggiando il quotidiano di una nazione in piena trasformazione. Mentre la Corea del Sud si prepara a mostrarsi al mondo, Reply 1988 segue le avventure di un gruppo di amici e familiari, con l’evento olimpico che serve da sfondo e riflette il clima di ottimismo e le aspettative di un Paese in fermento che cammina verso il futuro.

Reply 1988 Olimpiadi Seoul

Nel 1988 Seoul, dopo decenni di isolamento, tensioni politiche interne e rapidi cambiamenti, era desiderosa di mostrare i progressi economici e sociali conseguiti, promuovendo finalmente una nuova immagine di sé. Queste Olimpiadi rappresentarono un progresso non solo nelle infrastrutture e nell’organizzazione, ma furono anche un simbolo di pace, unità e benessere collettivo – segnando un momento di apertura internazionale senza precedenti.

Reply 1988 coglie in maniera magistrale l’atmosfera di quell’anno, offrendo un affresco delicato e commovente della vita di tutti i giorni. Lo show non solo apre una finestra sulle trasformazioni scaturite nella società da quell’evento epocale, ma riflette il fervore di un’epoca in cui la Corea iniziava a forgiare la sua nuova identità. Nel corso degli episodi narra le vicissitudini di persone comuni, incarna il germoglio di una nuova era, simboleggiando il passo della nazione verso il cambiamento.

La serie, intima e toccante, rende omaggio con benevola nostalgia a un’epoca passata. E’ vero che mette in scena storie lontane da noi nel tempo e nello spazio, eppure ha un grande potere: ci fa sentire parte di sogni e speranze condivise, ci commuove all’idea che esista un senso di appartenenza forte e sincero. Celebra il senso di comunità, dipingendo con delicatezza il quadro di un quartiere dove le porte sono sempre aperte e le vite si intrecciano in un’affettuosa rete di supporto reciproco.

Reply 1988 onda coreana

In questo tessuto sociale stretto, ogni personaggio contribuisce a un mosaico di relazioni umane che enfatizza quanto sia fondamentale il sostegno nei momenti di gioia e di difficoltà. Evoca amori adolescenziali che fanno battere il cuore e passare la notte attaccati alla cornetta del telefono. E’ proprio il legame emotivo che Reply 1988 riesce a stabilire col pubblico a determinare il suo successo a lungo termine, rendendolo ancora oggi uno dei drama più apprezzati.

Insomma, Reply 1988 non si limita a narrare una storia; cattura l’essenza di un’epoca in cui la Corea è salita sul palcoscenico globale grazie alle Olimpiadi. Ritraendo le dinamiche di un periodo pieno di speranza e ricco di trasformazioni, lo show fa eco all’ottimismo di un’epoca, collegando le aspirazioni di un’intera nazione alle storie individuali, e sottolineando che nei grandi e piccoli momenti c’è sempre spazio per crescere e sognare assieme.

Default è un film sudcoreano del 2018 che ci catapulta nel 1997, quando il Paese stava per affrontare una tempesta economica senza precedenti. La vicenda si snoda attraverso le vite di tre personaggi, ognuno alle prese con la crisi vista da una prospettiva unica.

Default kmovie 1997 crisi finanziaria

Han Si-hyun (interpretata da Kim Hye-soo) è un’analista del team di gestione alla Banca di Corea. Intuisce per prima l’imminente crisi, ma si scontra con il muro di scetticismo dei suoi superiori. La sua determinazione a salvare l’economia nazionale diventa una corsa contro il tempo. Yoon Jung-hak (interpretato a Yoo Ah-in) è un finanziere che vede nella crisi un’opportunità. Mentre tutti attorno a lui perdono la testa – e i risparmi –, pianifica di arricchirsi sfruttando il caos a suo vantaggio. La sua freddezza e calcolo lo rendono un giocatore astuto in un gioco pericoloso. Infine, Gab-soo (interpretato da Huh Joon-ho) è il proprietario di una piccola fabbrica, e ci mostra il volto più umano e devastante della crisi. Mentre il suo mondo crolla, l’uomo lotta non solo per salvare l’azienda ma per la sua famiglia, simbolo delle innumerevoli vite messe a dura prova dal disastro economico.

Oltre ad essere la cronaca di una crisi finanziaria, Default è il racconto di come questo evento abbia scosso profondamente la Corea, sconvolgendo i destini personali degli individui e costringendoli a scelte difficili. Con una narrazione diretta e avvincente, il film ci fa vivere l’urgenza, le paure e le speranze di chi ha attraversato quei giorni turbolenti, offrendoci uno spaccato realistico di un momento che ha del tutto ridefinito il futuro della nazione.

La crisi del 1997 e il suo legame con la Korean Wave

Ma che cosa ha portato alla crisi economica? Quali sono state le cause e le caratteristiche principali di questo drammatico evento?

La prima considerazione che bisogna fare è che gli anni precedenti il 1997 avevano visto l’espansione aggressiva dei chaebol, ossia dei conglomerati familiari coreani. Se questo, da un lato, aveva guidato un’impressionante crescita economica, dall’altro aveva iniziato a mostrare il suo lato oscuro. Concentrando troppo potere e ricchezze nelle mani di poche famiglie, aveva reso vulnerabile l’economia.

Per capire il modo in cui iniziò la crisi del 1997, proviamo a immaginare la Corea come un corridore che ha accelerato troppo e troppo in fretta. Negli anni precedenti il Paese aveva conosciuto una crescita economica straordinaria, trasformandosi da economia agricola a potenza industriale. Questo boom era alimentato in gran parte dal debito.

Le grandi aziende, i conglomerati chiamati chaebol appunto, si erano pesantemente indebitati per espandersi. Era come costruire un castello di carte: impressionante a vedersi, ma anche molto instabile. Nel 1997 gli investitori internazionali, preoccupati per alcune fragilità finanziarie emerse in Tailandia, iniziarono a ritirare i loro investimenti dall’Asia, temendo che i problemi potessero diffondersi. Questa paura colpì la Corea con particolare forza. Il castello di carte iniziò a vacillare quando divenne evidente che i chaebol non potevano ripagare i loro debiti, molti dei quali erano in valuta estera, e divennero insolvibili a causa della forte svalutazione della moneta coreana, il won.

Il governo tentò disperatamente di sostenere il won – ma era ormai troppo tardi. La Corea fu costretta a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale (FMI), che mise a disposizione un pacchetto di salvataggio da miliardi di dollari. In cambio, l’FMI chiese al Paese di attuare una serie di riforme dolorose ma necessarie: i chaebol dovevano essere ristrutturati, il sistema finanziario doveva essere rafforzato e il mercato del lavoro reso più flessibile.

Fu un periodo difficile. Molte persone persero il lavoro, le aziende fallirono e l’economia attraversò una profonda recessione. Tuttavia, queste riforme posero le basi per una ripresa economica più sana e sostenibile. La Corea imparò dalle proprie vulnerabilità e riuscì a ricostruirsi, emergendo come una delle economie più forti e dinamiche del mondo.

La crisi e i suoi numerosi ostacoli si rivelarono un accelerante per il cambiamento. Il Paese, spinto dalla necessità, diversificò la sua economia, investendo decisamente nel settore culturale. Tale mossa aprì la strada al trionfo globale del K-pop e dei kdrama. In risposta alla grave recessione, nacque un nuovo focus sull’intrattenimento come leva di crescita. Da questa strategia emerse un fenomeno mondiale: la Korean Wave.

Reborn Rich: un successo sudcoreano strepitoso

Se gli eventi narrati fin qui vi suonano familiari, probabilmente è perché avete visto il revenge-drama Reborn Rich (2022), che ha catturato l’attenzione internazionale grazie alla sua trama appassionante e alla performance del popolarissimo attore Song Joong-ki.

Il drama narra la storia di un uomo tradito dalla famiglia chaebol per cui lavora, che si reincarna nel loro membro più giovane per vendicarsi. Questa premessa permette di esplorare le dinamiche del potere, dell’ingiustizia e della redenzione, intrecciando sapientemente gli eventi di fantasia con i tumultuosi fatti storici legati alla crisi finanziaria. Reborn Rich risuona potentemente con questa parte della storia coreana. Mentre il personaggio principale naviga tra vendetta e desiderio di giustizia, l’intero drama diventa un’eco delle aspirazioni e delle lotte della Corea, collegando il difficile passato del Paese con le complessità del presente.

Tale legame è indubbiamente uno dei fattori chiave dietro l’impressionante successo di pubblico che lo show ha riscosso in Corea, culminato in un picco di ascolti del 26,9% nell’episodio finale. Il risultato lo colloca al secondo posto nella classifica dei drama più visti nella storia della televisione via cavo nazionale.

Il tessuto sociale ricco e complesso della fine del millennio fu la base su cui la Corea stava iniziando a costruire il suo successo presente. I tempi per la nascita dell’«onda coreana» erano maturi. Ma non possiamo cavalcare quell’onda senza prima confrontarci con il declino di un altro fenomeno globale che per anni aveva esercitato la sua potente fascinazione: il Cool Japan.

Il Cool Japan e l’egemonia pop giapponese

Il nome «Cool Japan» potrà forse non dire granché, ma sicuramente i Millennials ricorderanno con una punta di nostalgia cartoni animati come Sailor Moon, Dragon Ball e Doraemon che hanno segnato un’epoca, ben prima che l’«onda coreana» iniziasse a erodere la supremazia culturale giapponese.

Cool Japan Hello Kitty

Tutto ebbe inizio dalla mente creativa di Yuko Shimizu che nel 1974 ideò Hello Kitty, una graziosa bimba dall’aspetto felino. Quel personaggio diventò talmente iconico da dare vita a un movimento di proporzioni mondiali, la Pink Globalization, la Globalizzazione Rosa, simbolo dell’esportazione della cultura pop giapponese nel mondo.

Se in precedenza le generazioni erano cresciute con i personaggi americani di Mickey Mouse e Bugs Bunny, a partire dagli anni ’80 il Giappone riuscì a catturare l’immaginario collettivo introducendo un nuovo universo popolato da samurai, geishe, sushi, manga e anime – parole che si sono ben presto intessute nel dialogo globale, rendendo il Sol Levante parte della nostra quotidianità.

Per tutti coloro che ricordano i pomeriggi passati a guardare cartoni come Lady Oscar, Holly e Benji e Ken il Guerriero, l’impatto del Cool Japan è un ricordo indelebile. Lady Oscar, con la sua rivoluzionaria mescolanza di racconto storico e gender fluidity, non era solo un cartone animato, ma un vero e proprio manifesto di coraggio e sfida alle convenzioni. C’era poi Holly e Benji, che trasformava una partita di calcio in un’epopea leggendaria in cui ogni tiro era un proiettile incantato che volteggiava nell’aria senza sosta. Ci insegnava che la determinazione può trasformare anche il più semplice dei giochi in un racconto eroico. E che dire di Ken il Guerriero? Con i suoi muscoli e il suo codice d’onore, Ken portava nelle nostre case una narrazione cruda ma piena di speranza, dove la forza fisica si intrecciava a insegnamenti morali profondi, mostrandoci che anche nel deserto post-apocalittico dell’anima potevano fiorire giustizia e compassione.

Pink Globalization Cool Japan Korean Wave

Questi eroi del piccolo schermo, icone indiscusse del Cool Japan, erano molto più di semplici personaggi: erano i custodi di valori e aspirazioni di una generazione che, seduta davanti allo schermo dopo la scuola, imparava a sognare in grande, a lottare per la giustizia e a non arrendersi mai. In loro, abbiamo trovato ispirazione, evasione e in un certo senso una guida morale. Hanno segnato l’epoca d’oro dell’animazione giapponese, lasciando un’impronta duratura.

Tuttavia, proprio mentre il Giappone festeggiava il suo apogeo culturale, un nuovo contendente si preparava dietro le quinte. L’«onda coreana», con le sue radici piantate in un terreno di conflitti passati e rinascita, iniziava a fare breccia nei cuori a livello globale.

Il declino del Cool Japan: cause e conseguenze

Ma cosa ha spinto l’equilibrio a favore della Corea del Sud? Il declino del Giappone può essere attribuito a un intreccio di fattori economici, storici e sociali.

Mentre il Giappone tentava di ripulire la propria immagine di nazione post-imperialista, non poteva sfuggire completamente alle ombre del passato, né al crescente stigma del suo allineamento con gli Stati Uniti. Nel 2000, il professore e diplomatico giapponese Makoto Iokibe affermò che il Paese sarebbe dovuto entrare nel nuovo millennio ‘americanizzandosi’. Disse che i valori di origine confuciana secondo cui i bambini erano stati educati fino a quel momento (ovvero, il rispetto della collettività in primis e il conformarsi alle aspettative della società) dovevano essere abbandonati. Era necessario adottare il modello americano, fondato sul primato dell’individuo. E’ chiaro che questo tipo di visione non attecchì nei vicini Paese asiatici, che si identificavano maggiormente con i valori confuciani espressi nei drama coreani – sicuramente pieni di cliché, ma anche ricchi di buoni sentimenti.

Inoltre, economicamente parlando, la Corea offriva un’alternativa più accessibile rispetto ai prodotti mediatici e artistici giapponesi, che potevano arrivare a costare anche quattro volte tanto. Quindi, mentre il Giappone affrontava complesse sfide interne e una percezione esterna complessa, la Corea emergeva come il nuovo fulcro di fascino e innovazione. Questa ascesa si deve, sì, alla maggiore convenienza economica dei suoi prodotti, ma anche alla loro forte risonanza con l’identità asiatica, capace di offrire una rappresentazione fedele e diretta delle tradizioni e dei valori del continente.

La Hallyu

Ed è qui che si rese evidente la necessità di un termine capace di catturare l’essenza di questo tsunami culturale. “Hallyu” fu il termine che sbocciò in Cina all’alba degli anni 2000, dalla fusione di “Han”, che significa «coreano», e “lyu”, che significa “onda”.

Nacque così l’«onda coreana», l’immagine di un movimento inarrestabile e aggraziato che dal cuore di una piccola penisola nell’Estremo Oriente si propaga ancora oggi nel mondo intero. La sua origine testimonia l’impatto che musica, drama e film coreani hanno inizialmente avuto in Cina, segnando non solo un’epoca di consumo, ma anche di profonda affinità e curiosità per tutto ciò che è “Made in Korea”, dal turismo alla lingua ai prodotti di intrattenimento. L’accoglienza entusiasta dell’Hallyu in Cina dimostra la sua straordinaria capacità di varcare le frontiere, conquistando ammirazione oltre i propri confini. Col tempo, si è evoluta da tendenza di nicchia a vero e proprio fenomeno di massa.

Nonostante il successo, la Cina a partire dal 2016 deciso di limitare l’accesso a film, drama e musica coreana. Tale provvedimento si presenta come uno sviluppo sorprendente, specialmente considerando che fu proprio sul suolo cinese che l’«onda coreana» incontrò il suo primo e appassionato pubblico internazionale. La decisione cinese mette in luce le complesse dinamiche del soft power in atto nell’area asiatica, dove la competizione per l’influenza culturale è particolarmente accesa.

E’ chiaro che il provvedimento messo in atto dalla Cina è un tentativo di proteggere e promuovere la propria produzione artistica e mediatica di fronte a quella di un vicino molto competitivo. Soprattutto, ci permette di capire il modo in cui i Paesi utilizzano l’intrattenimento per sedurre il pubblico locale e internazionale, e per affermare la propria immagine a livello globale, rinegoziando continuamente le dinamiche di potere.

Soft Power BTS

Ma di questo (… e molto altro!) parleremo nel prossimo capitolo dedicato all’onda coreana e alla sua evoluzione. Non dimenticate di seguire il mio Podcast Dentro le Storie per non perdere i prossimi episodi, e e lasciatevi incuriosire da un viaggio fatto di storie, cultura e sorprese che non vi aspettate.

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