Il delitto di Garlasco: perché siamo ossessionati da questo caso (e cosa dice di noi)

Delitto Garlasco ossessionati True Crime

A quasi vent’anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il caso Garlasco è tornato a far parlare di sé. Le indagini sono state riaperte, un nuovo nome è emerso tra gli indagati, vecchi reperti sono stati rianalizzati con tecnologie che all’epoca non esistevano. Eppure, a colpire non è solo la riapertura giudiziaria. È il modo in cui l’opinione pubblica si è gettata a capofitto sulle indagini.

Il caso Garlasco è un dispositivo narrativo, una storia a cui molti sembrano non voler rinunciare. Per alcuni è la speranza di una verità mai raggiunta. Per altri, l’ennesimo processo da rifare sui social. Per altri ancora, un enigma da sviscerare fino all’ossessione.

In questo articolo non affronteremo la cronaca giudiziaria in prima battuta. Ma ciò che vi ruota attorno: la fascinazione collettiva per i delitti irrisolti, la compulsione a schierarsi tra innocentisti e colpevolisti, e il piacere morboso per il lato oscuro che il True Crime sembra suscitare in noi.

Cosa ci racconta tutto questo? Quali meccanismi culturali e psicologici si attivano? E perché proprio questo caso?

Avevo già esplorato questo tema, partendo dalle origini del True Crime e tracciandone lo sviluppo fino ai nostri giorni.

Nel marzo 2025, la Procura di Pavia ha riaperto le indagini, focalizzandosi su Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, Marco Poggi. Le nuove tecnologie hanno permesso di attribuire a Sempio un’impronta palmare, l’ormai celebre «impronta numero 33», trovata sulla scena del crimine ma mai identificata prima. Inoltre, analisi genetiche hanno rilevato tracce di DNA sotto le unghie della vittima compatibili con il profilo di Sempio.

Andrea Sempio è stato invitato a comparire in Procura per rendere dichiarazioni in qualità di indagato, ma non si è presentato, sostenendo – tramite la difesa – un vizio di forma nella notifica. La mancata comparizione ha sollevato ulteriori interrogativi e contribuito ad alimentare il dibattito pubblico attorno al caso.

Le indagini hanno portato alla luce molti nuovi elementi, tra cui:

  • I ritrovamenti nel canale a Tromello: su indicazione di un supertestimone, gli inquirenti hanno effettuato un’ispezione nel canale di Tromello, nei pressi di una proprietà riconducibile alla famiglia Cappa. Durante il sopralluogo sono stati recuperati diversi oggetti metallici: un attizzatoio da camino, una mazzetta da muratore, la testa di un’ascia. I reperti sono attualmente oggetto di analisi.
  • Chiavetta USB: è stata sequestrata una chiavetta USB appartenente a Chiara Poggi. I file contenuti — alcuni dei quali cancellati dalla stessa Chiara — includono materiali su temi molto delicati e potenzialmente rilevanti per il contesto dell’inchiesta.
  • Testimonianze contrastanti: nuove dichiarazioni e vecchi messaggi hanno riacceso l’attenzione su possibili tensioni interne alla famiglia e su dinamiche relazionali complesse nella cerchia più vicina alla vittima, sollevando interrogativi sulla reale dinamica interna alla famiglia.

È un dato di fatto che la condanna in Cassazione di Alberto Stasi non sia bastata a chiudere davvero il caso Garlasco. Né sul piano giudiziario — oggi riaperto — né tantomeno nell’immaginario collettivo.

A distanza di quasi vent’anni, il caso continua a dividere: da una parte gli innocentisti, dall’altra i colpevolisti. Entrambi convinti, entrambi determinati a sostenere la propria verità con argomenti, ricostruzioni, indizi, omissioni, dubbi. Il dibattito resta acceso, alimentato da ogni minimo sviluppo.

È proprio in questa distanza tra la verità processuale e la verità percepita che si inserisce l’ossessione collettiva. A rendere il fenomeno ancora più complesso di quanto non sia è il ruolo attivo dell’opinione pubblica, che non si limita a seguire i fatti, ma li interpreta, li seziona, li rielabora. Li condivide sui social, ne fa chiacchiera da bar.

L’informazione diventa materia prima per una narrazione parallela, costruita nei forum, nei podcast, nelle dirette. Un processo informale, diffuso, in cui ogni cittadino si sente legittimato a essere parte attiva dell’inchiesta. Il risultato è un cortocircuito continuo tra giustizia e racconto, tra prove e percezioni, tra fatti e ipotesi.

Ma cosa alimenta l’ossessione collettiva per il caso di Chiara Poggi? Quali sono i fattori che, a distanza di quasi vent’anni, lo rendono così presente nel dibattito, sui media e persino nelle conversazioni quotidiane?

Di seguito individuo quelli che, a mio avviso, sono i principali elementi che rendono questa indagine particolarmente attrattiva agli occhi dell’opinione pubblica: un mix irresistibile di cronaca nera, psicodramma familiare e thriller giudiziario. Un caso che si presta a essere seguito come una fiction, con la differenza che qui i protagonisti sono veri, e la storia sembra non finire mai.

Sfiducia nelle istituzioni: gli errori investigativi che hanno minato la credibilità della prima inchiesta

Il caso Garlasco ha evidenziato numerose lacune nelle indagini iniziali, contribuendo a generare un clima di sfiducia verso le istituzioni preposte alla giustizia. Questi errori hanno alimentato il dibattito pubblico e la percezione che la verità non sia stata completamente accertata.

La scena del delitto non fu adeguatamente preservata. Secondo quanto riportato, le forze dell’ordine non adottarono le necessarie precauzioni per evitare la contaminazione delle prove. Ad esempio, non furono utilizzati guanti o copriscarpe durante i rilievi, compromettendo l’integrità delle evidenze raccolte. O ancora, alcune prove che oggi potrebbero essere dirimenti (come le stoviglie trovate nell’acquaio) non furono mai repertate.

Delitto Garlasco riapertura caso ossessione

Gli errori e le omissioni – di cui qui ho portato solo due esempi di molti che sono stati commessi – hanno contribuito a creare un clima di sfiducia, alimentando l’idea che la verità sul delitto di Garlasco non sia stata completamente accertata. O — secondo una parte dell’opinione pubblica — che l’intera ricostruzione investigativa sia stata indirizzata fin dall’inizio verso un unico responsabile, trascurando piste alternative.

Insomma, la percezione di un’indagine condotta in modo approssimativo ha rafforzato l’ossessione collettiva per il caso, trasformandolo in un simbolo delle inefficienze del sistema giudiziario italiano.

Accanto agli errori procedurali e alle lacune investigative, a rendere il caso Garlasco così sensibile nell’immaginario collettivo è la percezione — mai confermata, ma fortemente radicata — che vi sia stata una gestione del caso condizionata da influenze esterne. Una sorta di regia invisibile, o per lo meno di pressione ambientale, che avrebbe potuto indirizzare l’attenzione giudiziaria in una direzione precisa, lasciandone in ombra altre.

Al centro di questi sospetti si colloca il contesto sociale in cui si è consumato il delitto: una provincia italiana in cui l’apparenza è spesso più importante della verità, e dove i legami personali contano quanto — se non più — dei fatti oggettivi.

Gemelle Cappa riapertura caso Garlasco

La famiglia Cappa, parente stretta della vittima, è stata descritta da più fonti come influente, ben inserita, socialmente riconosciuta. Il padre delle ormai celebri gemelle Cappa, Ermanno Cappa, figura autorevole e stimata a livello locale, viene visto da molti come simbolo di quel potere delle piccole comunità, dove tutto si muove all’interno di una rete di conoscenze, amicizie e riverenze reciproche.

Le gemelle Cappa e il fascino dell’ambiguità

Nel caso Garlasco, la figura delle gemelle Paola e Stefania Cappa si è imposta all’attenzione collettiva non tanto per fatti concreti, quanto per la loro “centralità laterale” (potremmo chiamarla così). Ossia, per la costante presenza ai margini della scena. Non sono indagate, non sono testimoni chiave – almeno per ora. Ma l’opinione pubblica le osserva con insistenza.

La celebre fotografia realizzata ad hoc per mostrare un legame con Chiara Poggi — una foto che in realtà non esisteva, e che venne costruita dopo la morte — ha dato molto su cui scrivere e riflettere. In tanti l’hanno letta come un gesto freddo, calcolato, pensato più per mettersi in mostra che per esprimere un dolore reale.

Il padre delle gemelle ha avuto un ruolo attivo e controverso nel controllo della narrazione mediatica. Alcune intercettazioni lo ritraggono mentre cerca di orientare il discorso pubblico, attaccando giornalisti e proteggendo la reputazione familiare. È in questo contesto che prende forma una delle ipotesi più persistenti: che la giustizia sia stata deviata, o quanto meno dissuasa, dal guardare in una direzione – diciamo così – scomoda.

Dal punto di vista sociologico, le gemelle Cappa sono diventate un archetipo contemporaneo. Sono le custodi di verità non dette. Sono le sorelle silenziose che forse sanno, ma non parlano. Che forse c’erano, ma non vengono nominate. Che forse potrebbero spezzare il mistero, ma non lo fanno. È un ruolo potente, perché alimenta continuamente la narrazione: ogni loro apparizione, ogni loro omissione, ogni allusione da parte di terzi diventa materiale su cui costruire nuove ipotesi.

La fascinazione del pubblico, quindi, non nasce da una prova, ma dal vuoto, dal bisogno di riempire le zone d’incertezza del caso con figure cariche di ambiguità. E la gemellarità stessa rafforza questo meccanismo. Due figure identiche ma separate da fratture interne — in contrasto tra loro, a quanto pare oggi anche personalmente — risuonano perfettamente con l’idea di doppio, di specchio, di identità scissa. In una vicenda che non trova pace, l’immagine delle gemelle che non si parlano più, che forse sono in rotta tra di loro, ha un valore quasi simbolico: è la frattura interna della verità che continua a dividere tutto e tutti.

Non stupisce, quindi, che una parte dell’opinione pubblica continui a guardare a loro come a elementi chiave, anche in assenza di evidenze. Insomma, il vero motore dell’interesse non è la certezza, ma la possibilità. Che possano parlare, contraddirsi, lasciar trapelare qualcosa. Non è tanto ciò che dicono, ma ciò che potrebbero dire a tenere accesa l’attenzione.

Se una parte dell’attenzione collettiva si concentra su figure ambigue come le gemelle Cappa, un’altra si sposta su un piano ancora più laterale, ma altrettanto potente dal punto di vista simbolico: quello dell’occulto, delle sette sataniche che infesterebbero le zone della Lomellina.

E’ un dato di fatto che tra il 2008 e il 2014 si è registrata una lunga serie di suicidi e morti sospette a Garlasco e dintorni.

Questo ha portato alla nascita della cosiddetta “pista satanica”: l’ipotesi, mai comprovata a oggi, di un legame tra l’omicidio di Chiara Poggi e ambienti legati a sette o rituali esoterici. Pur in assenza di prove concrete o riscontri ufficiali, tali narrazioni si sono diffuse rapidamente, alimentando un vero e proprio filone parallelo.

Sui social — in particolare su YouTube — si è assistito alla proliferazione di contenuti in cui persone comuni analizzano ogni frammento disponibile del caso: immagini della scena del crimine, messaggi vocali, comportamenti, pause, sguardi. Tutto viene reinterpretato attraverso una lente cospirazionista o “satanista”, nel tentativo di costruire un senso coerente là dove la realtà continua a restare opaca.

I detective da salotto: quando il crimine diventa un puzzle da risolvere

Tra le tante ragioni che rendono il caso Garlasco così persistente nell’immaginario collettivo, ce n’è una che assume un ruolo centrale: l’aumento esponenziale dei cosiddetti detective da salotto. Cittadini comuni, appassionati di true crime, utenti seriali di forum e social network, che si improvvisano investigatori, criminologi, profiler, analisti forensi.

L’omicidio di Chiara Poggi, in questo senso, non è solo un fatto di cronaca: è diventato un enigma. Un puzzle narrativo in cui ogni tassello sembra mancare, essere fuori posto o non combaciare del tutto.

Andrea Sempio delitto Garlasco ossessione

Quello che avrebbe dovuto essere un caso giudiziario complesso ma circoscritto si è trasformato in un campo di gioco a cielo aperto per detective improvvisati, convinti che basti un singolo dettaglio per ribaltare un’intera sentenza. In questa caccia collettiva alla verità alternativa, la precisione lascia spesso il posto alla suggestione, e l’analisi si fa spettacolo.

Il problema, però, va oltre l’effetto comico (o tragico) dei “detective da salotto”. Il punto è che, così facendo, si finisce per disintegrare la distinzione tra verità processuale e verità percepita. E per quanto imperfetta, opinabile o addirittura viziata possa essere, la verità processuale è l’unica che si fonda su prove, contraddittorio, criteri oggettivi e responsabilità istituzionali. Non segue l’onda dell’emotività. Non si decide a colpi di like.

In questo scenario dominato da clamore, ipotesi e sentenze pronunciate dal pubblico prima ancora che dai tribunali, colpisce la postura discreta e contenuta di Alberto Stasi. In un’intervista rilasciata il 22 maggio dalla madre, la signora Elisabetta Ligabò Stasi ha risposto così a chi chiedeva perché il figlio, se davvero innocente, non avesse lottato pubblicamente con più forza: «Perché non è nella sua natura».

Una risposta controcorrente in un’epoca caratterizzata da chi grida forte per farsi sentire. Alberto Stasi — colpevole o innocente che sia — ha mantenuto un atteggiamento che parla di equilibrio, compostezza e fiducia (forse anche eccessiva) nelle istituzioni. E questo, in una società che trasforma ogni processo in spettacolo e ogni silenzio in sospetto, resta un gesto difficile da ignorare. E sicuramente da rispettare.

Il delitto di Garlasco è diventato parte della nostra quotidianità mediatica. Ci bombarda ogni giorno: servizi TV, articoli come questo (sì, anche questo!), speciali in prima serata, video di creator. Ognuno — giornalista, opinionista, vicino di casa, TikToker — sente il bisogno di dire la sua.

Eppure, la domanda da porsi è: che cos’è diventato davvero il caso Garlasco? Una tragedia da comprendere? Un enigma da risolvere? O una saga da seguire, episodio dopo episodio, come una lunga serie crime a cui manca sempre il finale? Perché l’impressione è che l’ossessione per la verità conviva — senza troppi scrupoli — con una dinamica da intrattenimento puro.

Delitto Garlasco Alberto Stasi

Questo non significa sminuire le domande legittime, né ignorare gli errori che hanno segnato il percorso giudiziario. Ma se è comprensibile voler capire, ricostruire, dubitare, è altrettanto fondamentale riconoscere i limiti tra analisi e narrazione, tra giustizia e fiction. La giustizia non è un talk show permanente. E non tutto ciò che incuriosisce merita di essere trasformato in spettacolo.

Il caso Garlasco ci riguarda perché parla della nostra fiducia nelle istituzioni, del nostro rapporto con la verità, della nostra fame di giustizia. Ma ci riguarda anche per un altro motivo: perché ci racconta come siamo cambiati noi in quanto pubblico. Ci dice quanto siamo diventati consumatori di trame avvincenti, più che cittadini in cerca di risposte.

Forse la vera domanda, oggi, non è più “Chi ha ucciso Chiara Poggi?” La domanda, quella più scomoda, è: perché abbiamo così tanto bisogno che sia ancora tutto da scoprire?

Ascolta il Podcast

I migliori contenuti in un clic! 

📲 Seguimi su Instagram per aggiornamenti quotidiani!

📬 Vuoi essere sempre aggiornato? Iscriviti alla newsletter per non perderti i nuovi articoli e contenuti esclusivi. Entra anche tu a far parte del Pink Dragon Club!

💃 Seguimi su TikTok per tutte le News più interessanti!

🎧 Scopri il Podcast “Dentro le Storie”. Ascolta le recensioni, le mie riflessioni su tematiche di attualità, recensioni, temi sociali e tanto altro!

📘 Pagina Facebook Vale.into.drama: Scopri i nuovi articoli, i post più recenti e i contenuti più esclusivi legati a drama, Corea ed Estremo Oriente!

🫰 Gruppo Facebook Vale.into.drama: La Community: Cerchi consigli sui drama orientali? Entra nella nostra Community e condividi la tua passione con migliaia di altri fan.

👥 Unisciti al Canale Telegram per avere un contatto diretto con me e discutere insieme delle ultime novità.

🧵 Threads: Commenti rapidi sulle News dall’Asia. Seguimi su Threads!

Scopri altre News

Segui le mie rubriche sui Social

Storie di società e cultura pop

Recensioni Serie TV, film e libri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *