Empowerment e Maternità nella società coreana

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In una società che si muove velocemente verso il futuro, con tecnologie all’avanguardia e una cultura pop che conquista il mondo, la Corea del Sud si trova di fronte a un paradosso che minaccia le sue stesse fondamenta: un tasso di fertilità che non solo è il più basso al mondo ma continua a scendere a ritmi allarmanti.

Secondo le statistiche 2023 dell’ufficio nazionale, il numero di bambini per donna è sceso allo 0,72, con previsioni che lo vedranno diminuire ulteriormente fino a raggiungere lo 0,65 nel 2025. Questo declino, da un già basso 0,78 nel 2022, pone il Paese di fronte a sfide demografiche senza precedenti.

Ma cosa significa veramente vivere in una nazione dove il suono dei bambini che giocano diventa sempre più raro, dove le scuole si svuotano e le città riflettono un invecchiamento accelerato della popolazione? E come affronta la donna coreana questo scenario complesso? E’ indubbio, infatti, che il calo demografico è il riflesso della lotta per l’empowerment, in una società segnata ancora da misoginia e patriarcato.

La società impone alle donne coreane sfide enormi, dalla pressione sulla maternità e la bellezza alle ingiustizie lavorative. Queste donne stanno ora cambiando le regole. Decidere di non avere figli diventa per loro un gesto forte di indipendenza. Questo articolo intende esaminare il modo in cui esse stanno oggi affrontando e modellando attivamente queste pressioni, cercando di trovare un equilibrio tra le aspettative tradizionali e le aspirazioni personali.

Nella società coreana, le donne affrontano una serie di contraddizioni profondamente radicate che incidono significativamente sulle loro vite.

Da un lato, vengono spinte verso il matrimonio e la maternità come tappa obbligata del loro percorso di vita, una corsa contro il tempo per conformarsi a un ideale che predilige la creazione della famiglia tradizionale. Quello che ci si aspetta da loro è che, una volta entrate in questo ruolo, lascino il posto di lavoro, taglino i legami sociali e si dedichino interamente alla casa, rinunciando così a una parte significativa della loro individualità e aspirazioni personali.

Empowerment Corea del Sud maternità

Provate a immaginare lo scenario. Le donne coreane trascorrono anni a studiare duramente e formarsi, spesso con l’obiettivo di ottenere il lavoro dei loro sogni, solo per trovarsi poi di fronte a un bivio una volta che entrano nella fase del matrimonio e della maternità. Questa transizione, sebbene possa essere scelta e desiderata da molte, comporta spesso il sacrificio della carriera professionale in nome di un ideale sociale che vede la donna principalmente come madre e custode del focolare domestico. È un cambio di rotta drastico e, per alcune, doloroso: da professioniste indipendenti e realizzate a casalinghe, un’etichetta che sminuisce il loro contributo alla società al di fuori della sfera domestica.

La discrepanza tra gli anni di duro lavoro e il rapido mutamento di ruolo evidenzia una delle contraddizioni più amare della società coreana. L’investimento nell’istruzione e nella carriera delle donne viene valutato fino a quando non si scontrano con la maternità. A quel punto, le aspettative cambiano radicalmente, spingendo molte donne a dover scegliere tra la carriera e la famiglia.

Nel momento in cui scelgono la famiglia, si manifesta la seconda grave contraddizione. Si tratta del pregiudizio sociale che si fa strada non appena queste donne adempiono alle aspettative imposte dalla società, che le etichetta come «madri-insetto». Espressione dispregiativa, viene usata in Corea per indicare quelle madri sposate che vivono alle ‘spalle’ del marito, senza contribuire al reddito familiare.

Questo è un vero e proprio paradosso. Mentre la società insiste sulla maternità come culmine dell’identità femminile, e spinge le madri a dedicarsi esclusivamente alla famiglia, contemporaneamente stigmatizza quelle che seguono questo percorso, usando un linguaggio che diventa strumento stesso di marginalizzazione. Tale dicotomia evidenzia una frattura profonda nella percezione del ruolo delle donne.

Negli ultimi anni, la Corea del Sud ha visto emergere la cosiddetta Generazione N-po, un termine che indica l’aumento dei giovani, soprattutto venti e trentenni, che scelgono consapevolmente di rinunciare a incontri amorosi, matrimoni e alla procreazione. Originariamente iniziato come Generazione Sampo (rinuncia a tre cose: amore, matrimonio e figli), il termine si è espanso a “N-po“, con “N” che indica un numero variabile di rinunce, a testimonianza di una tendenza in crescita che riflette sia sfide economiche sia pressioni sociali.

Generazione N-po Corea del Sud

Questo movimento non è semplicemente un fenomeno demografico. E’ una risposta diretta alle realtà socioeconomiche del Paese, dove il caro-vita, la competitività estrema per l’istruzione e il lavoro, e l’inaccessibilità a una casa propria, rendono la prospettiva di formare una famiglia tradizionale sempre più irraggiungibile. In aggiunta, i rigidi standard sociali creano una pressione che le giovani generazioni non riescono più a tollerare.

Per le donne, in particolare, la Generazione N-po rappresenta una forma di resistenza contro le aspettative tradizionali di genere che le vedono prima di tutto come mogli e madri. La scelta di rinunciare al matrimonio e alla maternità, quindi, diventa un atto di autodeterminazione, un modo per rivendicare il controllo sulla propria vita in un contesto che spesso ne limita le possibilità. Tuttavia, questa scelta non è esente da sfide. La pressione della società e della famiglia rimane forte, e le donne che aderiscono al movimento N-po possono trovarsi ad affrontare ostracismo sociale e critiche.

La Generazione N-po, quindi, non solo mette in discussione le convenzioni sociali ma apre il dialogo su cosa significhi vivere una vita appagante nell’odierna Corea del Sud. Per le donne oggi la scelta è un invito a riconsiderare i valori alla base della società e a riflettere su come le norme influenzino la vita di tutti i giorni, in un contesto ancora fortemente patriarcale.

In una società dove il matrimonio e la maternità sono considerati il culmine dell’identità femminile, molte donne stanno ora interrogandosi su queste aspettative, cercando modi per bilanciare desideri personali, ambizioni professionali e vita familiare. L’empowerment, in questo contesto, significa la capacità di scegliere: scegliere se e quando sposarsi, avere figli o seguire un percorso professionale, senza essere penalizzate o etichettate per queste scelte.

Empowerment Femminismo Corea del Sud

Le donne coreane stanno anche affrontando e modificando la tradizionale distribuzione dei ruoli domestici, chiedendo una maggiore partecipazione dei partner maschili nelle responsabilità familiari e nella cura dei figli.

Allo stesso tempo, la pressione per conformarsi alle aspettative di bellezza post-partum è un’altra sfida che le donne coreane stanno iniziando a contestare apertamente. Movimenti sociali e campagne online promuovono la body positivity e la salute mentale, contrastando la cultura della vergogna e l’idealizzazione di standard estetici irrealistici per le madri.

Abbiamo già visto in altri articoli che in Corea le donne si sono unite per scardinare alcune delle più radicate pressioni e aspettative sociali operanti su di esse: i fenomeni Escape the Corset e il Movimento 4B sono l’espressione potente del bisogno di rinnovamento femminile.

Escape the Corset è nato come reazione alla pressione estrema esercitata sulle donne per conformarsi a specifici standard di bellezza. Il ‘corsetto’, in questo contesto, simboleggia le rigide aspettative sociali che le donne sono costrette a rivestire ogni giorno. Attraverso Escape the Corset, molte donne hanno iniziato a rifiutare queste norme, smettendo di indossare trucco e abiti considerati ‘femminili’, in una forma di protesta contro un sistema che le valuta principalmente per il loro aspetto.

Allo stesso modo, il Movimento 4B indica il rifiuto di ruoli e aspettative imposte dalla società tradizionale. «Non sposarsi, Non partorire, Non prendersi cura dei bambini, Non fare shopping» (tutte parole che in coreano iniziano con la lettera B). Le donne che aderiscono a questo movimento stanno sfidando apertamente le norme che le vedono come madri, mogli e consumatrici prima che come individui.

Tutte queste lotte sono indicative ed essenziali per l’empowerment femminile in Corea. Riflettono un cambiamento culturale ampio verso la parità di genere e il rispetto delle scelte individuali. Il cammino è ancora lungo, ma il coraggio che le donne stanno dimostrando è straordinario, specie considerando che – parallelamente ai progressi nel movimento femminista – esiste in Corea un forte movimento anti-femminista. Questo movimento è emerso in risposta alle crescenti rivendicazioni per i diritti delle donne e si manifesta sui social, in politica e nelle proteste pubbliche. Alcuni uomini, e a volte anche donne che si dissociano dal femminismo, sostengono di sentirsi emarginati o ingiustamente criticati dalle politiche e dalle iniziative che mirano a promuovere l’uguaglianza di genere, percependole come minacciose per la società.

In questo contesto estremamente sfaccettato e complesso, le donne che si battono sono quelle che stanno costruendo le fondamenta di una società equa e più giusta. Una società dove le scelte e le voci di tutti sono valorizzate e rispettate. La loro determinazione è una testimonianza del potere dell’unità e della lotta condivisa. Queste donne coraggiose segnano non solo un capitolo nuovo nella storia della società coreana, ma un importante passo in avanti per tutte noi.

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