«Non vuoi figli? Meriti la prigione»: la frase shock di un insegnante sudcoreano

Frase shock insegnante Corea del Sud

«Le donne che non fanno figli dovrebbero andare in prigione». È questa la frase pronunciata da un insegnante sudcoreano durante una lezione in una scuola superiore femminile di Incheon, città a ovest di Seoul.

Un’affermazione grave, resa pubblica grazie alla registrazione audio effettuata da una studentessa. Il file ha iniziato a circolare sui social e, nel giro di poche ore, ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità scolastiche.

L’Ufficio Metropolitano dell’Istruzione ha trasmesso il caso alla polizia per una possibile violazione della legge sui crimini di abuso minorile. L’insegnante è ora formalmente indagato per presunti abusi verbali nei confronti di minori.

Ma cosa ha portato un docente a formulare un’affermazione tanto estrema davanti a una classe di adolescenti?

La lezione, intitolata “Politica e Diritto”, si stava concentrando sul servizio militare obbligatorio per gli uomini, ancora oggi in vigore in Corea del Sud. È in quel contesto che l’insegnante ha espresso la propria opinione su una storica sentenza della Corte Costituzionale, che anni fa aveva dichiarato incostituzionale il cosiddetto sistema dei punti: un meccanismo che garantiva vantaggi ai cittadini che avevano completato il servizio militare.

Il “sistema dei punti” e la sentenza che ha fatto discutere

Negli anni ’60, la Corea del Sud introdusse un sistema di compensazione per gli uomini che completavano il servizio militare obbligatorio: ai candidati che avevano svolto la leva venivano assegnati punti extra nei concorsi pubblici, con un vantaggio fino al 5% sul punteggio totale.

Nel 1999, però, la Corte Costituzionale ha dichiarato il sistema incostituzionale, ritenendolo discriminatorio verso le donne e le persone con disabilità, che non potevano svolgere il servizio militare e quindi restavano escluse da questo beneficio.

Da allora, la questione è rimasta aperta. Molti uomini hanno visto quella decisione come una perdita ingiusta, mentre altri hanno sottolineato come l’equità di accesso al lavoro pubblico non possa basarsi su criteri legati al genere o alla biologia.

A partire da quella decisione, il docente ha tracciato un parallelo diretto tra il dovere militare maschile e la maternità femminile, sostenendo che anche le donne dovrebbero essere soggette a “sanzioni” in caso di mancata “prestazione sociale”.

Queste le sue parole:

«Penso che la sentenza [della Corte Costituzionale] sia la peggiore di sempre. Se un uomo non fa il servizio militare, va in prigione. Ma nessuna donna è mai stata incarcerata per non aver partorito».

E ancora:

«Il parto non è un obbligo. Ed è per questo che ora il nostro tasso di natalità è 0,67. Le donne in età fertile che non hanno figli dovrebbero essere mandate in prigione. È così che ci sarebbe l’uguaglianza di genere».

Per approfondire la questione della crisi demografica sudcoreana, clicca su questo articolo:

Le dichiarazioni dell’insegnante hanno suscitato una reazione durissima da parte del pubblico. I commenti apparsi online parlano di «gravi derive ideologiche» e di «tentativi di inculcare idee faziose in ragazze giovanissime».

L’Ufficio dell’Istruzione di Incheon ha dichiarato di aver avviato un’indagine interna per accertare eventuali violazioni del Codice di Condotta per gli educatori pubblici. Parallelamente, l’autorità scolastica ha chiesto un approfondimento giudiziario, ritenendo che quanto detto possa configurare una forma di abuso verbale su minori.

A rendere la vicenda ancora più preoccupante è il ruolo del protagonista: non si tratta di un politico o di una figura pubblica qualsiasi, ma di un insegnante. Una persona che, per funzione e responsabilità, plasma quotidianamente le coscienze delle giovani generazioni.

Che frasi del genere siano state pronunciate all’interno di un’aula scolastica, rivolte ad adolescenti, mostra quanto sia ancora viva – in Corea come in molte altre società – l’idea che il valore di una donna sia legato alla maternità.

Il calo delle nascite è un tema reale e urgente, in Corea come in Italia e in molti altri Paesi del mondo.

Le sue cause sono complesse: precarietà economica, disuguaglianze di genere, assenza di politiche strutturate a sostegno delle famiglie. Ma trasformare questo problema in un atto d’accusa contro le donne, scaricandone su di loro l’intera responsabilità, non è solo scorretto. E’ fuorviante.

Per approfondire la questione della disparità di genere in Corea e nel mondo, ti rimando a questo articolo:

Il punto non è solo la maternità come obbligo, ma qualcosa di più profondo e radicato: l’idea che il valore di una donna si definisca attraverso la sua capacità – o disponibilità – a diventare madre.

È questa equazione, ancora sorprendentemente viva sotto varie forme, che riaffiora ogni volta che si attribuisce alle donne la responsabilità della natalità o si pretende che la loro funzione sociale coincida con la riproduzione. Ridurre l’identità femminile a una prestazione biologica significa ignorare tutto il resto: i suoi desideri, le sue scelte, i suoi percorsi di vita.

Perché il vero problema non è la maternità in sé. E’ credere che senza, una donna valga meno.

Source: The Korea Herald

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