Il grido silenzioso degli insegnanti coreani

Insegnanti corea del sud News

Siamo in Corea del Sud, Paese noto per avere uno dei sistemi educativi più competitivi e rigidi al mondo. Ma dietro l’efficienza e i risultati, da tempo si accumulano pressioni e squilibri che hanno ormai superato la soglia di allarme.

Oggi si è verificata una nuova aggressione ai danni di un’insegnante. Un episodio grave, ma non isolato, che ci impone di guardare con attenzione dentro un modello educativo tanto ammirato quanto problematico.

Perché sì, la scuola coreana eccelle.
Ma a quale prezzo?

Per approfondire il funzionamento del sistema scolastico coreano, clicca qui:

La mattina dell’11 aprile 2025, in una scuola superiore di Sinjeong-dong, nel distretto di Yangcheon (Seoul), un’insegnante è stata aggredita da uno studente della sua classe.

La dinamica è brutale. Dopo essere stato rimproverato perché stava giocherellando col cellulare durante la lezione, il ragazzo si è alzato dal banco e ha raggiunto la docente alla cattedra. Ha urlato, lanciato oggetti a terra e infine l’ha colpita al volto con la mano in cui teneva lo smartphone.

Insegnante coreano aggredito scuola
Source: The Korea Times

Secondo quanto riportato dal Seoul Metropolitan Office of Education, l’insegnante è stata immediatamente portata in ospedale. Lo studente, invece, è stato allontanato e rimandato a casa, in attesa di provvedimenti disciplinari.

Le immagini dell’incidente, riprese in aula da altri studenti, mostrano una scena che lascia poco spazio all’interpretazione: rabbia, violenza, totale mancanza di rispetto per l’autorità.

Ma ridurre tutto a un singolo gesto sarebbe ingenuo. Perché questa è solo la punta dell’iceberg.

La scuola coreana è sempre stata un’istituzione fortemente gerarchica, in cui il rispetto per l’autorità è parte integrante del sistema. In una società che si fonda sui titoli di studio e i successi scolastici, l’insegnante non è solo un educatore: è un’autorità e un punto di riferimento.

Negli ultimi anni, però, qualcosa si è incrinato. Si è registrato un aumento allarmante di episodi di aggressioni verbali e fisiche nei confronti dei docenti. Non solo da parte degli studenti ma anche dei genitori.

Chi insegna si trova sempre più spesso intrappolato in un sistema che chiede il massimo — risultati eccellenti, gestione delle classi, disciplina impeccabile — ma offre pochissime tutele. Le famiglie intervengono con reclami continui, denunce, pressioni. Gli studenti, cresciuti in un clima competitivo e stressante, scaricano la frustrazione in aula.

L’amministrazione scolastica, il più delle volte, anziché difendere i docenti, tende a insabbiare o minimizzare per non danneggiare l’immagine della scuola.

Il risultato? Insegnanti stremati, isolati, vulnerabili.

Ma cerchiamo di capire come funziona esattamente questo sistema.

Quando un’accusa basta a rovinare una carriera

Nel 2014, la Corea del Sud ha approvato una legge per la tutela dei minori, pensata per intervenire tempestivamente in caso di abusi reali. La norma prevede la sospensione automatica dell’insegnante accusato, anche in assenza di prove concrete, e spesso prima di qualunque verifica formale.

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Con il tempo, però, questa legge è diventata uno strumento pericoloso. Alcuni genitori, esasperati o eccessivamente protettivi, hanno iniziato a fare leva su questa norma per denunciare docenti anche per semplici rimproveri, note disciplinari o il sequestro momentaneo di uno smartphone durante le lezioni.

Nel 2023, numerosi docenti hanno riportato casi in cui sono stati sospesi per aver alzato la voce o rimproverato un alunno. In molti di questi episodi, l’inchiesta si è conclusa senza conseguenze, ma l’insegnante è rimasto mesi lontano dal lavoro, segnato da procedimenti interni logoranti e dallo stigma di una denuncia.

Uno dei casi più emblematici resta quello della giovane maestra di Seoul, suicidatasi nel luglio 2023 dopo settimane di accuse da parte di alcuni genitori. Le pressioni erano continue, le denunce infondate, e nessuna tutela reale era arrivata dalla dirigenza.

Secondo un’indagine condotta dal Korean Teachers and Education Workers Union (KTU), oltre il 70% dei docenti interpellati ha dichiarato di sentirsi vulnerabile rispetto alle denunce dei genitori e di temere conseguenze anche gravi per episodi minimi.

Questo clima ha generato una reazione a catena, un circolo vizioso. Sempre più professori evitano di intervenire su comportamenti scorretti per paura di essere denunciati. La gestione disciplinare si svuota, il ruolo educativo si indebolisce, e la figura dell’insegnante perde autorità.

A pagarne le conseguenze non sono solo i docenti, ma anche gli studenti. Una scuola in cui nessuno si sente più libero di educare è una scuola che smette di insegnare davvero.

Secondo dati ufficiali riportati da più fonti, circa 100 insegnanti delle scuole pubbliche si sono tolti la vita in Corea del Sud tra il 2017 e il 2023. Più della metà lavorava nelle scuole elementari. Questo dato, da solo, dovrebbe bastare a raccontare la gravità della situazione.

Le cause? Non ci sono risposte semplici. Ma il filo conduttore sembra essere evidente: isolamento, pressione costante, impossibilità di svolgere serenamente il proprio lavoro. In molti casi, i docenti non riescono a ricevere il minimo supporto psicologico o professionale. E il sistema scolastico, invece di proteggerli, li espone ancora di più.

Dopo il suicidio della giovane maestra avvenuto nel 2023, migliaia di insegnanti sono scesi in piazza, in divisa scolastica, per chiedere protezione, rispetto e un cambiamento strutturale.

Proteste insegnanti corea News

Il governo ha risposto approvando una serie di leggi — le cosiddette Teacher Rights Restoration Bills — che mirano a tutelare i docenti da denunce pretestuose e ad alleggerire la pressione amministrativa. Un passo avanti, certo, ma l’effettiva efficacia di queste leggi è ancora oggi oggetto di dibattito. Soprattutto, resta da capire se la cultura che per anni ha svalutato il lavoro degli insegnanti sia pronta a cambiare davvero.

Il caso accaduto oggi nella scuola superiore di Sinjeong-dong non è un’eccezione. È un sintomo. Un segnale forte e inquietante di quanto stia diventando fragile — e pericolosa — la professione dell’insegnante in Corea del Sud.

E mentre le telecamere si spengono su questa ennesimo brutto fatto di cronaca; mentre il ciclo delle notizie si muove veloce altrove, c’è una domanda che resta sul tavolo: quanto vale, oggi, la dignità di chi insegna? E soprattutto: chi la sta davvero difendendo?

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