Troppo magri? I coreani e l’ossessione per l’apparenza

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Guardando i drama, sono stata colpita da un’idea. Prendiamo ad esempio Bridget Jones, un personaggio iconico del cinema britannico, interpretato da una bravissima Renée Zellweger. Per calarsi nel ruolo, Renée Zellweger ha dovuto affrontare notevoli variazioni di peso, aumentandolo e riducendolo in base alle esigenze di copione. Cosa che rivela il suo impegno professionale nel dare autenticità al personaggio.

Attrici ingrassate ruolo Bridget Jones

Nel panorama dei drama, dove la magrezza è la norma, raramente vediamo attrici disposte a prendere peso per un ruolo. Ad esempio, in Oh My Venus o nel drama di prossima uscita I’m not a Hero, troviamo personaggi over-size interpretati da attrici che sono state “truccate” per i ruoli, senza andare incontro a variazioni di peso. Invece, nel drama Marry My Husband, Park Min-young, già molto magra, ha perso ulteriormente peso per interpretare il ruolo di una donna malata, dimostrando così che, se è accettabile dimagrire per esigenze di copione, non lo è ingrassare.

In questo articolo vedremo il modo in cui le aspettative di magrezza influenzano non solo le star, ma anche il quotidiano di tutti i coreani, riflettendo sulle pressioni sociali e culturali che pesano su di loro.

Una delle domande che mi viene fatta più spesso sui social è: «Ma è vero che i coreani sono tutti magri?» In realtà no, e ne avevo già parlato in un articolo, che vi lascio qui. In giro per Seoul, si vede una più che normale varietà di persone.

La struttura dei coreani: conformazione fisica e dieta

Il fatto è che la struttura fisica degli orientali in generale è diversa dalla nostra. Molte persone nel sud-est asiatico tendono ad avere una conformazione fisica più minuta. Questo è dovuto a un mix di fattori genetici e ambientali che hanno plasmato le loro caratteristiche nel corso dei millenni. Hanno fianchi stretti e curve poco accentuate, il che dà l’impressione che siano complessivamente più magri di noi. La dieta, poi, gioca un ruolo chiave. Povera di sale e di grassi, e ricca di verdure e pesce (che sono meno calorici rispetto ad alcuni cibi occidentali), contribuisce a un generale stato di salute.

Tuttavia, è importante non cadere nella trappola di stereotipi o generalizzazioni. Anche in Corea, come ovunque, esiste una grande varietà di forme e corpi. Quando camminavo per le strade di Seoul, non avevo l’impressione di trovarmi in un Paese dove tutti indossavano la stessa taglia XXS.

Recentemente, ho visto su Instagram dei contenuti che mi hanno lasciato perplessa. Alcune “influencer” (assolutamente normopeso – e tale precisazione capirete ha importanza in questo contesto) sono state a Seoul in vacanza e hanno rivelato una presunta ‘realtà’ scioccante: quella secondo la quale non sarebbero riuscite a sedersi in metropolitana, perché i sedili sarebbero progettati per persone più minute. Noi occidentali – anche se, appunto, non in sovrappeso – dovremmo occupare ben due posti. Ammetto di aver riso vedendo quei video.

Questa affermazione non corrisponde assolutamente al vero. I sedili della metropolitana di Seoul sono di dimensioni standard, simili a quelli di altre grandi città come Londra, dove la larghezza si aggira tra i 45 e i 50 cm. Ci tengo a sottolineare questo aspetto perché se è vero, da un lato, come vedremo tra poco, che la società coreana ha un rapporto del tutto peculiare con il mito della magrezza, non si può affermare che tutti i coreani sono magri e super in forma.

La Corea ha un rapporto che definirei distopico con la magrezza: ne è ossessionata. Per come la vedo io, la identifica con il successo. E per farvi capire che cosa intendo vi racconterò una storia che trovo molto malinconica, quella di Kim Gee-yang – un tempo modella “over-size” oggi 37enne.

Modella curvy Corea magrezza

La ragazza crebbe in un ambiente dove era costantemente criticata per il suo peso. Alta 1 metro e 65 per 70 chili, veniva ridicolizzata e bullizzata dalla sua stessa famiglia, finché nel 2010 non si trasferì negli Stati Uniti dove decise di intraprendere la carriera di Modella curvy per la quale, paradossalmente, era troppo magra. Nonostante questo, essendo graziosa e fotogenica, sfilò e fu fotografata per alcuni brand.

Probabilmente più sicura di sé e con una nuova consapevolezza del proprio corpo, Kim Gee-yang, fece ritorno in Corea, decisa a cercare un’opportunità nel mondo della moda per taglie forti. Scoprì che non ce n’erano. Come confermato da molti stilisti coreani, il concetto di inclusività e l’utilizzo di modelli e modelle di diverse forme nelle riviste e nei cataloghi di moda in Corea è ancora inesistente. L’unico luogo in cui è possibile vedere modelle over-size è su canali televisivi di shopping in cui vengono mostrate mentre mangiano oppure provano attrezzi ginnici.

Quindi la ragazza, impossibilitata a seguire i suoi sogni, si reinventò e rispose a queste sfide fondando «66100», la prima rivista di moda coreana dedicata alle donne in carne. La rivista prende il nome dalle taglie massime disponibili in Corea, ossia 66 cm in vita per le donne e 100 per gli uomini. La stessa Kim dichiara di vestire 88 cm, che corrisponde a una taglia 8 americana… che in Europa corrisponde a una 40. Per capirci: in Corea la 38 è già considera una plus size.

66100 rivista plus size Corea

La rivista non solo offre consigli di moda ma serve anche come piattaforma per la discussione e il supporto contro il body shaming. Sono molte, infatti, le donne che in Corea non si sentono rappresentate da estremi standard di magrezza, e una di queste è Baek, che ha dichiarato di aver trovato un rifugio nell’iniziativa di Kim Gee-yang.
Baek, che veste una taglia 10 americana (ossia una 42), ha raccontato un episodio particolarmente doloroso del suo passato, quando sua madre una volta si rifiutò di prendere il suo stesso autobus, per la vergogna di essere chiamata “mamma” in pubblico da una figlia paffuta.

La storia di Kim Gee-yang rappresenta un faro di speranza per molte persone coreane, perché dimostra uno straordinario coraggio e la determinazione a sfidare le convenzioni. D’altra parte, sono tante le difficoltà che questa donna deve ancora affrontare, non ultimo il pregiudizio. Come lei stessa ha dichiarato in molte interviste, è da anni ormai vittima di cyberbullismo, commenti malevoli sul suo aspetto e addirittura minacce di morte. Nonostante tutto, Kim Gee-yang continua a dimostrare una notevole resistenza e una visione innovativa, tentando di rompere gli schemi tradizionali e promuovendo un’immagine del corpo più inclusiva e realistica.

Gli scalini brucia-calorie: perché in Corea l’aspetto è un’ossessione?

L’impegno di Kim Gee-yang va oltre la semplice moda. E’ una lotta per il cambiamento che sfida idee preconcette radicate e spesso tossiche. Dove possiamo vedere altre applicazioni di tali idee? Ad esempio, nei gradini che indicano quante calorie si bruciano salendoli. Di cosa sto parlando? In Corea non è raro imbattersi in gradini, scale pubbliche che mostrano quante calorie si bruciano salendole. Questa è una delle tante iniziative promosse dal governo per incoraggiare uno stile di vita più attivo tra la popolazione. L’idea è quella di motivare le persone a scegliere le scale anziché l’ascensore, facendo loro vedere il beneficio immediato in termini di calorie bruciate. Certo, da un lato questo può essere visto come un incentivo alla salute. Dall’altro, però, riflette l’ossessione nazionale per la forma fisica e la magrezza.

Ossessione magrezza Corea

Teniamo presente che la Corea ha uno dei tassi di obesità più bassi tra i paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Secondo gli ultimi dati disponibili, il tasso di obesità in Corea si aggira intorno al 5% della popolazione adulta, molto al di sotto della media, che si attesta intorno al 19%. Sempre per restare in tema di statistiche, uno studio condotto dalla Samyook University di Seoul che ha intervistato delle studentesse universitarie nel range di peso normale – quindi assolutamente non sovrappeso – ha rivelato che quasi il 95% è insoddisfatta del proprio corpo. Più del 60% ha dichiarato di dover dimagrire.

Non so voi, ma io trovo queste statistiche sconvolgenti. Ho fatto delle ricerche approfondite su questo tema, e ho scoperto che in Corea, fin dagli anni della scuola, le persone normopeso si percepiscono grasse. Per questo motivo, praticano metodi di controllo del peso non salutari tra cui il digiuno, l’assunzione di pillole dimagranti non prescritte dai medici e l’auto-prescrizione di diete mono-alimentari. Queste pratiche sono estremamente diffuse (oltreché dannose) e proseguono anche negli anni dell’impiego perché “essere belli” non è un valore aggiunto per i coreani. E’ un vero e proprio diktat.

Ma per quale motivo è così importante essere belli in Corea? La questione è complessa, ma in sintesi la possiamo descrivere così. Negli ultimi decenni la Corea ha conosciuto un’enorme crescita, con un’accelerata industrializzazione e un significativo arricchimento della popolazione. Questo sviluppo ha creato un ambiente estremamente competitivo, sia nel mondo accademico sia in quello lavorativo. In tale contesto, l’aspetto fisico diventa un criterio decisivo; detto banalmente: essere belli conta. Pensate alla differenza: mentre in Occidente, per garantire pari opportunità di accesso al lavoro, si è scelto di eliminare la foto dal CV, in Corea è obbligatorio includerla. L’aspetto deve infatti rispondere ai canoni di bellezza correnti, poiché è radicata l’idea che un aspetto gradevole costituisca una competenza. Una competenza che fa la differenza.

In un Paese all’apparenza avanzato e attento alla salute, emergono dolorosi interrogativi: è possibile la vera accettazione di sé in un contesto così impregnato di pressioni al conformismo, in cui il cyberbullismo è tanto diffuso?

Lina Bae, una YouTuber sudcoreana, ha messo in luce questa battaglia in un video del 2018 che, sebbene sia incentrato sulla bellezza più che sulla magrezza, è decisamente rivelatore degli inarrivabili standard coreani. Nel video, Lina affronta un diluvio di insulti crudeli: «Il tuo viso nudo è terrore ai miei occhi», «La tua pelle è disgustosa», «Se fossi in te mi ucciderei». Queste sono solo alcune delle aggressioni verbali che riceve mentre applica meticolosamente il trucco.

Lina Bae Cyberbullismo Corea

Nonostante il suo tentativo di mascherarsi dietro fondotinta, ombretto e il rossetto, la derisione continua, dimostrando che né il make-up né la sua assenza possono proteggerla. La youtuber raccoglie insulti sia al naturale sia truccata. Il video, che ha raccolto milioni di visualizzazioni, è diventato un simbolo potente, sottolineando quanto gli standard di bellezza siano oppressivi e invitando a una riflessione critica sul valore eccessivo che la società coreana attribuisce all’aspetto fisico.

Lina Bae è diventata promotrice di movimenti femministi in Corea, unendosi a Escape the Corset, e dimostrando che la vera bellezza risiede nell’autenticità e nell’accettazione di sé.

Le storie di Kim Gee-yang e Lina Bae non ci parlano soltanto della lotta di due donne contro gli stereotipi, ma sono il riflesso della pressione collettiva che si manifesta nei gradini delle scale che misurano le calorie bruciate, nei corpi di studentesse che, pur rientrando in un peso che molti di noi riterrebbero invidiabile, si vedono inadeguate. In un Paese com’è appunto la Corea che percepisce e giudica come taglia L (Large) ciò che per il resto del mondo è considerato una taglia S (Small).

Che cosa ci dice realmente questa dissonanza tra numeri, taglie e percezioni? Ci dice che la salute – tanto quella fisica quanto quella mentale – non è solo un numero sulla bilancia o una taglia di jeans. Ci parla del bisogno di una nuova narrazione che valorizzi l’individuo oltre il suo aspetto esteriore. La vera sfida è cambiare il dialogo interiore e collettivo, smettere di misurare il valore personale con un metro che lascia poco spazio all’autenticità e alla diversità.

Il cambiamento non deve riformare solo le passerelle o le riviste di moda. Deve rinnovare il tessuto stesso di una cultura, affinché ogni persona possa sentirsi pienamente valorizzata. Il primo passo verso l’accettazione non dovrebbe iniziare contando le calorie, quanto piuttosto contando sul nostro valore come esseri umani.

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