Pachinko, la moglie coreana (2022)

Pachinko la moglie coreana serie TV 2022

Ho inaugurato il 2023 guardando l’acclamata serie TV americana Pachinko, la moglie coreana. Uscita nel marzo 2022, ha riscosso immediatamente uno straordinario successo di critica, ottenendo anche numerosi premi. Avendo letto per lo più pareri positivi, ero davvero curiosa e colma di aspettative.

Nonostante questo, devo dire che Pachinko è una delle più brucianti delusioni che mi siano capitate nell’ultimo periodo. Certo, la serie è stata rinnovata per una seconda stagione. Ma i suoi problemi non sono tanto le domande che lascia in sospeso, quanto piuttosto i veri e propri buchi di sceneggiatura, le caratterizzazioni senza sfumature e le scelte stilistiche che ne fanno un prodotto ben al di sotto della fama che si è guadagnata.

Ma andiamo con ordine.

Tutti i problemi che troviamo in Pachinko

Il ‘peccato originale’ di Pachinko (chiamiamolo così) è quello di presupporre che lo spettatore conosca il romanzo da cui è tratto. Non che tra i due ci sia grande fedeltà, anzi. Tuttavia, conoscere il romanzo di Min Jin Lee aiuta a capire le vicende della serie TV. Quali sono, infatti, i problemi?

Un montaggio non cronologico (e sconcertante)

Le vicende raccontate in Pachinko coprono un arco narrativo che va dal 1915 al 1989. Il montaggio non segue una scansione cronologica, ma alterna passato e presente.

Pachinko Serie TV AppleTV 2022 doppiato

Tuttavia, le linee temporali non sono sempre distinte con chiarezza. Talvolta una scena si sofferma nel presente soltanto un minuto, per tornare poi nel passato – o viceversa. Questo crea confusione e disorientamento.

Considerato poi che si tratta di una serie breve (solo 8 episodi), non ho apprezzato la scelta di dedicare un intero episodio alle vicende di Hansu (Lee Min-ho), che ci spiegano perché è diventato la persona che è. E’ un episodio anomalo, che si differenzia in tutto e per tutto dai precedenti: senza sigla, senza la presenza di altri protagonisti, senza flash-back o flash-forward. Ha spezzato il ritmo della narrazione a una sola puntata dalla fine, ma non ha aggiunto nulla al personaggio in sé, che poi è stato abbandonato al suo destino.

Una caratterizzazione bidimensionale dei personaggi

In questa serie situazioni e personaggi non hanno sfumature: sono tagliati con l’accetta. I coreani sono vittime, i giapponesi carnefici. Le donne sono buone, gli uomini sono profittatori. Insomma, mi spingo a dire che ci vedo molto dello sguardo americano in questa categorizzazione in bianco e nero tra ‘buoni/cattivi’, ‘noi/loro’.

Gli stessi protagonisti ci vengono descritti per quel tanto che basta a renderli funzionali alla storia. Del loro mondo interiore non sappiamo quasi nulla. Benché Pachinko si riprometta di dar voce alle vicende di una famiglia coreana che ha resistito alle tragiche vicende accadute in Giappone durante il periodo della Guerra, a me la tragicità, l’eroismo e la resistenza non sono arrivati – se non come idee astratte.

Facciamo degli esempi.

Solomon (Jin Ha), il nipote – 1989

*** Attenzione: contiene spoiler ***

La sceneggiatura decide di concentrarsi su due generazioni: quella della nonna e quella del nipote, saltando quasi interamente il racconto della generazione di mezzo. La scelta è comprensibile, e tuttavia penalizza la storyline di Solomon.

Solomon Jin Ha 1989 Pachinko drama Apple TV dubbato

Tutto ciò che riguarda il personaggio di Solomon si riduce a due aspetti. Da un lato, il giovane è impegnato a combattere i pregiudizi dei giapponesi in quanto investitore nella Tokyo del 1989.

D’altro canto, è coinvolto da una misteriosa ragazza con cui, però, non lo abbiamo mai visto interagire e il cui significato narrativo è davvero poco chiaro. Tornerò sulla storia di Hana, perché è una delle più inutili e francamente brutte che abbia mai visto in una serie TV. Ma prima vorrei analizzare il personaggio di Solomon, il quale non ha caratura drammatica, non ha spessore, e questo proprio per il motivo che dicevo sopra.

Sappiamo poco di lui, e quello che ci viene detto rientra nell’ambito dell’abusata retorica dell’etnocentrismo. Lo vediamo perfettamente nella scena della firma del contratto. Solomon aveva usato ogni mezzo a sua disposizione per convincere un’anziana signora coreana a vendere la propria terra alla banca. Nel momento della firma, però, è l’orgoglio razziale a fargli decidere di appoggiare l’anziana e far saltare l’accordo.

Questa vicenda non ci dice niente del protagonista, se non tutto il risentimento e l’odio che ancora cova per i giapponesi. Sopravvivenza? Resistenza? Adattamento? Non mi pare sia questo il fulcro della storia, ma un rancore che si tramanda di generazione in generazione. E la triste storia di Hana lo conferma.

Hana (Mari Yamamoto), la ragazza misteriosa – 1989

*** Attenzione: contiene spoiler ***

Hana Mari Yamamoto Pachinko 2022 Serie TV sub Ita

Si è voluto aggiungere un surplus di drammaticità con la storyline di Hana, ma davvero non se ne capisce il senso nell’economica della serie.

Durante una conversazione con Solomon, la ragazza – che è allo stadio terminale di Aids – gli dice come lo ha contratto. E guarda caso afferma di averlo preso da un ricco giapponese che «parlava di onore e samurai». Ho trovato questa precisazione onestamente rivoltante. Sarebbe stato diverso prenderselo da un povero coreano? O semplicemente i ‘poveri coreani’ non lo attaccano?

E’ come se l’intera storyline di Hana fosse stata costruita attorno a quell’affermazione giusto per gettare altro odio e altro razzismo su questo show – che di certo non ne ha bisogno. Tutto il resto (il rapporto con la nonna, con la madre, con il cibo) è stato solo un inutile contorno. Hana è passata nelle vite dei protagonisti senza procurare il seppur minimo cambiamento in loro – e questa è la definizione perfetta di un personaggio completamente superfluo.

I buchi di sceneggiatura

La storia se la cava meglio quando si concentra sulla vicenda della giovane Sunja (Kim Min-ha) e di Hansu (Lee Min-ho), ma anche in quel caso non è esente da difetti.

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E’ interessante vedere come la giovane Sunja passi dall’essere una vittima a diventare un’eroina, a modo suo. Donna intelligente e adattabile, attraversa i decenni con forza indomita.

La vediamo partorire due figli e dire del primogenito «Gli ho rovinato la vita». Sappiamo che si tratta di qualcosa di drammatico, e aspettiamo fino alla fine di sapere cosa accade. Ma nulla ci viene spiegato. Non è l’unico punto interrogativo che Pachinko lascia.

Un cenno all’orologio d’oro da taschino. L’orologio della vergogna. Regalato da Hansu a Sunja quando i due erano legati dalla passione, viene poi venduto da Sunja in un momento di difficoltà. Poco dopo l’orologio viene riacquistato da Hansu. Ma noi lo vediamo infine nella mani dell’anziana Sunja, che lo consegna al nipote Solomon. Come ci è arrivato? Mistero.

Questi, come dicevo nell’introduzione, non sono interrogativi che stuzzicano l’interesse e gettano le basi di una seconda stagione. Sono solo segni di una brutta sceneggiatura, mal pensata e mal scritta.

Pachinko: una delusione… bellissima

Pachinko ha dalla sua due aspetti positivi: a livello tecnico (regia, fotografia e costumi) è impeccabile. Più che una serie TV, ogni puntata sembra un film. Soddisfa gli occhi pienamente, e la cura dei dettagli è a dir poco maniacale.

Facendo ricerche online, ho scoperto che in fase di pre-produzione sono state fatte indagini sulle dimensioni dei cavoli da kimchi negli anni ’30. Questo per rendere quanto più possibile fedele e credibile la contestualizzazione storica dello show. Lo sforzo ha ripagato: esteticamente Pachinko è un prodotto bellissimo.

L’altro aspetto positivo è la sigla, l’unico luogo in cui tutti i protagonisti sono presenti contemporaneamente.

Sulle note di Let’s Live for Today dei The Grass Roots, i personaggi ballano con intensa vitalità in una sala pachinko. C’è gioia, eleganza e attesa per il futuro in quella danza. Liberazione da ogni costrizione e vincolo. Ci sono le generazioni a confronto, c’è la leggerezza e il soffio della speranza.

Purtroppo la serie disattende tutte queste promesse. E’ bellissima ma vuota, ben recitata ma poco emozionante. Vorrebbe raccontare il valore di una famiglia sfuggita al macello, ma finisce con il veicolare la semplicistica e mortificante equazione che «tutti i coreani sono stati vittime ed eroi» mentre d’altro canto «tutti i giapponesi sono stati oppressori». Cosa che non corrisponde mai a verità.

Questo genere di propaganda (in questo caso scritta da coreani-americani) è non solo sbagliata storicamente, ma anche pericolosa. Ed è per questo che Pachinko non solo non mi è piaciuto, ma mi ha irritato profondamente. Puntare il dito contro un popolo, e farlo diventare l’«uomo nero», è quanto di più sbagliato e scorretto ci possa essere.

Voto: 5

Numero puntate: 8

Durata: 1h circa

Dove vederlo: AppleTV (anche doppiato)

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Una risposta a “Pachinko, la moglie coreana (2022)”

  1. […] e segue la sua inaspettata amicizia con un giovane funzionario del governo. L’altro è Pachinko, popolarissima serie TV del 2022 in cui si accenna al fenomeno delle donne di conforto. Il terzo è […]

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