Questo articolo inaugura un nuovo filone che mi sta molto a cuore: una serie di riflessioni e racconti personali sugli “shock culturali” che ho vissuto durante la mia permanenza in Corea del Sud.
L’obiettivo non è né quello di stilare un catalogo di stranezze esotiche, né di giudicare una cultura diversa dalla mia. Al contrario: voglio condividere, con chiarezza e ironia, le situazioni in cui mi sono trovata spiazzata, sorpresa, a volte divertita, altre volte disorientata. Per riflettere con voi su quanto sia relativo il concetto di “normalità”.
E come spesso accade, tutto è cominciato con un caffè…
Ordinare un caffè Americano a Seoul
Appena arrivata a Seoul, in un momento in cui cercavo punti fermi, entrare in uno Starbucks sembrava una scelta neutra. Ordinare un semplice Americano, ancora di più.

In Corea, il menù delle caffetterie è sterminato, ricco di varianti, aromi, combinazioni stagionali. Io ero confusa, spaesata, circondata da centinaia di stimoli nuovi. E quindi ho puntato sulla semplicità: un Americano. Nessuna specifica. Nessuna variante. Solo un gesto familiare e rassicurante. La barista preparò la bevanda, io pagai e uscii in strada.
Ma bastò il primo sorso per capire che di “familiare” non c’era proprio nulla. Il caffè era gelato. Non freddo: gelato, con i cubetti che tintinnavano allegri nel bicchiere. E, per non farmi mancare nulla, era anche dolce. Un’eresia, per chi come me è abituata al caffè bollente, nero e amaro.
Per chi è cresciuta in una cultura in cui il caffè deve bruciare lingua, anima e pensieri, quello sembrava più una granita siciliana che una bevanda energizzante. E non eravamo nemmeno d’estate! Da quel giorno, ordinare un caffè caldo divenne la mia missione.
Perché i coreani amano l’iced coffee
Lungi dall’essere una moda passeggera, il culto del caffè freddo in Corea è una vera e propria abitudine radicata. Secondo i dati di Euromonitor, il consumo pro capite di caffè in Corea del Sud ha superato nel 2023 le 400 tazze all’anno, rendendo il Paese uno dei maggiori consumatori al mondo, tanto da meritarsi l’appellativo di «Repubblica del Caffè»!. L’Americano, in particolare nella sua versione fredda anche nei mesi invernali, è tra le scelte più popolari.
Ma perché questa ossessione? Le ragioni sono molteplici.
In primo luogo, la Corea vive sotto il segno del “ppalli ppalli”, espressione che significa “veloce veloce”. È un modo di essere, una mentalità diffusa, quasi un imperativo collettivo. In un sistema che valorizza la rapidità e l’efficienza, bere un caffè caldo richiede un tempo che molti non possono (o non vogliono) concedersi. Bisogna aspettare che si raffreddi, sorseggiarlo con cautela. Un iced Americano, invece, si beve subito, ovunque, in qualsiasi contesto. È pratico. Funzionale. Risponde all’urgenza di caffeina senza rallentamenti.
C’è poi una questione legata alla sicurezza. Può sembrare un dettaglio, ma portare in giro un bicchiere bollente (anche se protetto da un coperchio), in una città affollata e in continuo movimento, può essere rischioso. Il caffè freddo, invece, si maneggia con leggerezza e senza rischi.
Un altro aspetto interessante è il valore “stimolante” del freddo. Il caffè freddo, per molti, sveglia più di quello caldo: il contrasto termico attiva i sensi, più ancora della caffeina. È come una doccia ghiacciata in versione tascabile.

C’è poi il tema calorico. Un iced Americano, nella sua forma più pura, ha praticamente zero calorie. Non contiene zuccheri, né panna, né latte. È perfetto per chi vuole assumere caffeina senza sensi di colpa, soprattutto in una società in cui l’attenzione alla forma fisica è molto alta.
Infine, un dettaglio culturale e gastronomico: l’abbinamento con i cibi piccanti. La cucina coreana è ricca di piatti intensi, speziati, spesso roventi. In quel contesto, un caffè bollente sarebbe controproducente. L’iced coffee, invece, rinfresca il palato e riequilibra l’esperienza.
L’iced coffee: da shock culturale a nuova abitudine
All’inizio, lo ammetto, ho vissuto tutto questo con una certa resistenza. Continuavo a ordinare caffè caldi, a specificarlo più e più volte, a guardare con sospetto quelle tazze piene di ghiaccio. Ma col tempo, ho iniziato a capire.
Quello che a prima vista sembrava solo un dettaglio curioso, in realtà era una finestra su un modo diverso di vivere: meno legato al rito, più orientato all’efficienza. L’iced coffee in Corea non è un’eccezione stagionale, ma un simbolo quotidiano. E una volta superato lo shock iniziale, può persino diventare un’abitudine che — contro ogni previsione — ti porti a casa. Ma (nel mio caso) solo nei mesi estivi…
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