Woman of the Hour, uscito pochi giorni fa su Netflix e già ai vertici delle classifiche, segna l’esordio alla regia di Anna Kendrick.
Celebre soprattutto per il suo ruolo nella saga di Twilight e per la commedia musicale Pitch Perfect, la Kendrick si cimenta ora dietro la macchina da presa, affrontando un tema particolarmente crudo: la storia vera del serial killer Rodney Alcala, che negli anni ’70 partecipò al gioco televisivo The Dating Game mentre era nel pieno della sua carriera criminale.
Ma il film non è esattamente di genere True Crime. Se vi aspettate un’indagine dettagliata sul modus operandi di Rodney Alcala, un’analisi delle sue vittime o una ricostruzione accurata della loro cattura, il film potrebbe spiazzarvi. Woman of the Hour non si sofferma sugli aspetti investigativi tipici di questo genere, né sulla mente criminale del serial killer. Piuttosto, il caso Alcala viene presentato come una cornice inquietante, uno sfondo su cui si muovono altri temi più complessi.
La Kendrick, infatti, evita di trasformare la pellicola in un catalogo di atrocità, concentrandosi piuttosto sulla tensione psicologica e sulle dinamiche di potere che attraversano la società dell’epoca e le relazioni tra i personaggi.
Oggi parleremo di Woman of the Hour, chiedendoci se il debutto alla regia di Anna Kendrick riesca a portare freschezza e originalità in un genere così complesso, mantenendo alta la qualità e l’impatto emotivo, o se invece il film lascia qualche perplessità.
Trama e Recensione: Woman of the Hour, il thriller Netflix di Anna Kendrick
La storia ruota attorno a Cheryl Bradshaw, un’aspirante attrice che si è trasferita a Los Angeles con il sogno di sfondare nel mondo dello spettacolo.
Dopo anni di tentativi falliti e sacrifici, Cheryl è ormai sull’orlo di abbandonare il suo sogno e tornare a casa, quando la sua agente le propone una nuova opportunità: partecipare come concorrente a un popolare dating game in televisione. Potrebbe essere la sua occasione per farsi finalmente notare.
Parallelamente, in un alternarsi di punti di vista e flashback, ci viene presentato Rodney Alcala, un serial killer che attirava le sue vittime con la promessa di servizi fotografici.
Il percorso dei due si intreccia nel momento in cui Alcala viene scelto come pretendente per lo stesso dating game a cui partecipa Cheryl. Ma non solo. Con il suo fascino e la sua intelligenza, riesce a catturarne l’attenzione e, infine, «prendersi la ragazza» (come dice lui stesso agli altri concorrenti) per un appuntamento fuori dal set.
Woman of the Hour: un thriller che va oltre il True Crime
Nelle scene d’apertura del film vediamo Cheryl partecipare a un provino. Gli uomini incaricati di valutarla non mostrano alcun interesse per la sua performance o le sue capacità recitative. Quello che conta sono le sue forme fisiche. Uno di loro le chiede persino: «Sei disposta a recitare senza vestiti? Ah no? Eppure sembra che a seno tu sia messa bene». È subito evidente che Cheryl è immersa in un mondo dove il talento è secondario rispetto all’apparenza.
Cheryl ha un vicino di casa, che lei definisce «il suo unico amico a Los Angeles». Lui in realtà sembra interessato a ottenere un approccio di tipo fisico. La relazione sembra segnata da una forma sottile di ricatto. L’uomo continua a spingere finché non riesce a portarla a letto.
Quando Cheryl partecipa al gioco delle coppie, il presentatore la fa cambiare d’abito, scegliendo un vestito che metta in risalto il suo corpo snello. Ma non è tutto qui. Prima di andare in onda, le fa un discorsetto. «Si vede che sei intelligente», le dice «ma non darlo a vedere. Sorridi, non provare a fare la ragazza sveglia, altrimenti metterai in difficoltà i nostri pretendenti».
La denuncia di un sistema patriarcale e maschilista
Prendendo spunto dalla vicenda di Rodney Alcala, Anna Kendrick si pone come obiettivo quello di andare oltre il semplice racconto di un serial killer per offrire una critica tagliente e profonda al maschilismo e ai meccanismi di potere che reificano le donne, tanto nella società quanto nell’industria dello spettacolo.
Questa critica emerge con particolare forza anche attraverso il personaggio di Laura, una spettatrice che riconosce Alcala e ricorda bene la sua pericolosità.
Laura un anno prima aveva denunciato Alcala alle forze dell’ordine, dopo che lui aveva aggredito e ucciso una sua cara amica. Nonostante avesse fornito un identikit dettagliato, le autorità non l’avevano presa sul serio. Spaventatissima, Laura abbandona lo show e tenta di avvertire i produttori sulla vera natura di Rodney Alcala. Anche in questo in caso viene ignorata, e per di più derisa. Il suo stesso fidanzato, minimizza le sue paure.
Attraverso questi personaggi, la Kendrick costruisce un vero e proprio manifesto sulla violenza subita dalle donne: non solo quella fisica, per mano dei killer, ma anche quella psicologica e più subdola, perpetrata da un sistema che le riduce a meri strumenti di intrattenimento, oggetti da sfruttare o addirittura da zittire.
Il film, dunque, si trasforma in una riflessione amara e potente sul modo in cui la società e l’industria dell’intrattenimento continuano a trattare le donne, riducendo la loro voce e le loro esperienze a dettagli irrilevanti in un sistema che privilegia il potere maschile.
Riflessioni conclusive su Woman of the Hour: un debutto promettente ma non senza difetti
Una delle principali criticità che ho riscontrato nel film riguarda i salti temporali. Personalmente, li ho trovati distraenti e frammentari. Spezzano il ritmo della narrazione, specialmente nella prima metà, quando la storia è già divisa tra i punti di vista di Cheryl e Alcala. Questo rallenta il coinvolgimento e rende meno fluido il racconto, impedendo alla tensione di crescere in modo naturale.
A parte questa scelta narrativa, devo riconoscere che Anna Kendrick ha fatto un ottimo lavoro nel creare una denuncia che non si limita all’epoca in cui sono ambientati i fatti. Sebbene il film racconti eventi degli anni ’70, il messaggio lanciato è quanto mai attuale. La Kendrick sembra dirci: «Ehi, donne, guardate che la situazione non è cambiata poi molto…» E questo mi ha fatto sentire molto coinvolta nelle vicende raccontate – anche se erano temporalmente lontane da me.
In un momento storico come questo, con scandali e abusi che continuano a emergere, soprattutto in America (ne parlo nel podcast che vi lascio sotto), è sacrosanto voler alzare la testa e mettere in luce le dinamiche tossiche che esistono dietro le quinte del potere.
Quello che mi ha convinto meno, però, è l’estremizzazione della negatività dei personaggi maschili. In Woman of the Hour, tutti gli uomini sono dipinti come negativi. Nel migliore dei casi sono superficiali o stupidi, e nel peggiore sono veri e propri mostri assassini.
Questa generalizzazione mi è sembrata un limite importante. Sebbene la denuncia al marcio del sistema sia doverosa, raccontare una storia in cui tutti gli uomini sono disgustosi rischia di trasformare il messaggio più che altro in un grido di rabbia.
C’è una scena che mi ha fatto molto riflettere, forse quella che ho trovato più interessante e più rivelatrice dell’intero film. Durante una pausa nel dating game, la truccatrice parla con Cheryl e le dice: «Dopo tanti anni di lavoro a questo show, so che la vostra domanda sottintesa è sempre la stessa: chi di voi mi ferirà? Beh, tu l’hai fatta in modo molto chiaro».
Questo dialogo mette in luce il cuore del problema: la continua paura e la sfiducia nelle relazioni con il mondo maschile. Tuttavia, la rappresentazione unilaterale degli uomini finisce per ridurre la forza del messaggio, privandolo della complessità che avrebbe meritato. Ecco, per me questo è il difetto maggiore del film: la rabbia che rivela nei confronti degli uomini.
In conclusione, Woman of the Hour è un esordio alla regia promettente per Anna Kendrick, con un messaggio forte e attuale che punta a smascherare i meccanismi di potere e il maschilismo ancora presenti nella nostra società. La Kendrick dimostra sensibilità nel trattare temi complessi, riuscendo a confezionare un film che, nonostante le imperfezioni, offre uno spunto di riflessione rilevante nel contesto attuale. Un debutto che segna l’inizio di una carriera registica da tenere d’occhio.
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