I’m not a Robot vs. My Holo Love

Kdrama recensione intelligenza artificiale AI

Sono sempre più numerose le serie coreane che raccontano lo straordinario sviluppo della tecnologia, presentando storie che potrebbero essere il nostro futuro. La particolarità di queste vicende sta nel fatto che i robot non solo sostituiscono le persone nel lavoro, ma sono in grado di fornire loro affetto e talvolta empatia. Questo perché i robot vengono programmati per provare sentimenti, proprio come gli esseri umani.

Mettiamo qui a confronto due kdrama che trattano il tema dell’amore tra un umano e un’intelligenza artificiale (AI), arrivando però a risultati molto diversi.

I’m not a Robot, 2017

Il protagonista di I’m not a Robot è Kim Min-kyu, un ricchissimo ragazzo affetto da una rara malattia: è allergico agli esseri umani. Soprannominato «Sfollagente» per il manganello con cui va in giro le rare volte in cui esce di casa, Min-kyu è in realtà una persona profondamente ferita, tradita dalle persone di cui più si fidava.

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Il contagioso sorriso di Yoo Seung-ho

Non dobbiamo però immaginarlo ombroso e cupo, in quanto nel tempo ha sviluppato un carattere, sì, introverso ma anche piuttosto eccentrico. Come dimenticare i suoi compleanni festeggiati in compagnia dei robot-aspirapolvere? O la sua ossessione per i modellini?

E’ proprio a causa della sua allergia che Min-kyu decide di ‘testare’ il robot che un team di scienziati chiamato «Santa Maria» sta mettendo a punto, robot che sarebbe in grado di simulare emozioni umane e avrebbe in tutto e per tutto l’aspetto di una persona.

Il robot, di nome AG3 (che ha le fattezze dell’ex fidanzata di uno degli scienziati) presenta dei problemi proprio prima di essere consegnato a Min-kyu. Per prendere tempo, il team decide di mandare a casa del ragazzo l’ex fidanzata, che dovrà così spacciarsi per AG3 senza farsi scoprire.

Da qui in poi, molte cose succederanno – alcune scontate, altre meno. Ci sarà una bellissima storia d’amore, la (ri)scoperta della fiducia negli altri, la paura e la rabbia verso le bugie dette, l’allontanamento, il difficile percorso che si deve affrontare quando si vuole costruire relazioni profonde e stabili. In amore come nell’amicizia.

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I’m not a Robot: vale la pena guardarlo?

Benché non si tratti di una commedia perfetta, I’m not a Robot vale sicuramente le ore spese a guardarlo. Iniziamo con l’elencare quello che in questa serie è meno convincente.

Punti deboli: le macchinazioni aziendali

Tutta la storyline dedicata alle macchinazioni aziendali è un mix tra il ridicolo e il noioso. Oltre a non essere riuscita a catturare la mia attenzione, i momenti in cui sullo schermo apparivano gli ‘English speakers‘ erano talmente macchiettistici e stereotipati da suscitare risate anziché suspense e tensione.

Punti deboli: l’arco narrativo di Johnny Brown

E chi sarà mai Johnny Brown? Bella domanda, perché quella di Johnny Brown, ossia l’altro paziente affetto da allergia agli esseri umani, è una storyline inutile, mal pensata, mal scritta, mal recitata. Insomma, non aggiunge nulla all’economia del drama.

Detto questo, passiamo però ai motivi per i quali invece vale assolutamente la pena guardare I’m not a Robot, che sono molto più pregnanti.

Punti di forza: i protagonisti

Loro due insieme sono adorabili, sia quando lei è AG3, un robot troppo bello per essere vero, sia quando è Ji-ah, una ragazza in carne e ossa.

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L’intesa tra Yoo Seung-ho e Chae Soo-bin è estremamente naturale, e funziona sia nelle scene in cui battibeccano sia in quelle più romantiche.

Vorrei citare una scena in particolare che mi ha molto toccato, in cui il talento interpretativo dei due emerge con chiarezza. Nell’episodio 18, Min-kyu deve ‘resettare’ AG3. Il dolore del ragazzo è profondo e straziante, perché non sta semplicemente cancellando dei ricordi condivisi, ma letteralmente dicendo addio alla “persona” di cui si era innamorato. Dopo il ripristino, infatti, non rimarrà che il guscio vuoto di AG3.

Mi è venuto in mente Il Piccolo Principe.

«Sono la volpe», disse la volpe. «Vieni a giocare con me, non sono addomesticata». 

«Ah! scusa», fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: «Che cosa vuol dire addomesticare?»

«È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…» 

«Creare dei legami?» 

«Certo», disse la volpe. «Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo».

Il Piccolo Principe

Ecco, Min-kyu si trova costretto a rescindere quel legame che rendeva AG3 speciale ai suoi occhi. E la cosa ancora più dolorosa, è che AG3 – in quanto ‘robot’ – non può sfogare il suo dolore come vorrebbe ma deve trattenersi.

Entrambi gli attori sono bravissimi a rendere questo momento così intenso e significativo, esprimendo ciascuno a modo proprio il bagaglio di emozioni che si portano dentro.

Punti di forza: il messaggio finale

Che si tratti di amore o amicizia (il goffo ma irresistibile team scientifico «Santa Maria»), il messaggio veicolato dal drama è profondo e riguarda il tema della fiducia negli altri e la capacità di stringere legami significativi. Lo fa con toni leggeri, da commedia romantica e disimpegnata, ma arriva forte e chiaro.

Pensiamo, ad esempio, alla puntata 19. Quant’è commovente vedere quel gruppo di scienziati fare del loro meglio per far sentire Min-kyu meno solo! Lo aspettano alzati nel cuore della notte, gli preparano il porridge, giocano con lui – e tutto questo solo per fargli sentire la loro presenza.

Per quanto mi riguarda, I‘m not a robot è un drama che lascia una bella sensazione, un sorriso. Non si limita a far sognare, ma lancia un segnale di speranza: è possibile cambiare in meglio la propria vita nel momento in cui tendiamo la mano verso gli altri e ci apriamo al mondo con fiducia.

Voto: 8.5/10

Numero puntate: 32

Durata: 30 min. circa

Dove vederlo: Viki

My Holo Love, 2020

My Holo Love è la storia di So-yeon, una giovane donna che in seguito a eventi traumatici avvenuti nell’infanzia soffre di prosopagnosia: non riconosce i visi delle persone. E’ chiaro che questo le rende la vita (lavorativa e sociale) un inferno, costringendola a un’esistenza solitaria.

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Un giorno, in seguito a un incidente, si ritrova nella borsa un paio di occhiali ‘speciali’.

So-yeon li prova, e tra lo spavento e la sorpresa si rende conto di vedere una ‘persona’ davanti a sé. In realtà si tratta di Holo, un’intelligenza artificiale dalle fattezze umane, capace di comunicare con chi sta indossando gli occhiali.

Progettati da Go Nan-do, abile programmatore la cui esistenza è stata funestata dal suicidio della madre, è un giovane asociale, cinico e sprezzante che però (chi se l’aspettava?) rivelerà tutti i suoi migliori sentimenti alla nostra protagonista.

Nan-do ha dato a Holo le sue fattezze. Da questo fatto deriva l'(unico) aspetto originale del drama: il triangolo amoroso sarà tra la protagonista e due tizi con la stessa faccia. Di cui uno non esiste, ma lei non lo capisce. Ah. Che premesse!

My Holo Love: vale la pena guardarlo?

Spoiler: no.

Adesso però vi spiego perché My Holo Love è un drama brutto brutto e scemo scemo. Di seguito, l’elenco di tutto quello che non funziona all’interno della serie (se cercate i punti di forza, non scrollate. Non ce ne sono).

Un protagonista maschile non pervenuto

Yoon Hyun-min aveva il non facile compito di interpretare due ruoli piuttosto diversi tra loro: il puccioso Holo, molto pieno di qualità e virtù; e l’ispido, intrattabile, ferito Nan-do. Compito del quale si è rivelato chiaramente non all’altezza, né in caso né nell’altro.

In quanto Holo è sdolcinato da far venire il latte alle ginocchia. In quanto Nan-do, manca di carisma. E dire che il problema sarebbe stato facilmente risolvibile: bastava ingaggiare un altro attore.

Un personaggio femminile pessimo

So-yeon è una trentenne in carriera. Solitaria, invisa ai suoi colleghi a causa del suo deficit visivo, rassegnata a una vita senza amore, finisce con l’invaghirsi di Holo. E fin qui, nulla di dire.

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Go Sung-hee nei panni di So-yeon

Molto c’è da dire su come sia possibile che una donna adulta e nel pieno possesso delle sue facoltà intellettive non si renda conto – a lungo andare – della differenza tra un uomo in carne e ossa e un ologramma. Un uomo in carne e ossa emana un odore, ha una consistenza fisica tangibile, provoca spostamenti d’aria quando si muove… senza citare che, anche se si indossano occhiali ‘speciali’, si dovrebbe essere dotati di visione periferica, e chiunque abbia mai indossato un paio di occhiali correttivi sa di cosa sto parlando. Gli sceneggiatori, però, hanno deciso che tutte queste cose sono ‘dettagli’, e lo spettatore (come la protagonista) li avrebbe bellamente ignorati.

Ma le cose peggiorano quando So-yeon scopre la verità su Holo e il suo programmatore Nan-do. Da personaggio stupido, la protagonista rapidamente si tramuta in uno odioso. Perché? Perché dopo aver trascorso l’intera vita a lamentarsi di essere sola e senza amore, nel momento in cui le si prospetta la possibilità di avere un rapporto vero con una persona reale, lei che fa? preferisce Holo a Nan-do.

E Nan-do cerca di aiutarla a coronare il suo sogno d’amore con un ologramma.

Ma parliamone…

Un crime dimenticabile

Ecco, della parte dedicata al crime (ovvero il villain che vuole Holo per assoggettare il mondo e che, prevedibilmente, è legato ai due protagonisti fin dalla notte dei tempi) non so che dire. E’ la solita storia di intrighi già vista e rivista mille volte. E’ sbiadita e scontata, e si lascia guardare e dimenticare in un battito di ciglia.

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My Holo Love: considerazioni finali

Il drama ha avuto un discreto successo, quindi sono consapevole che la mia è una voce fuori dal coro. Tuttavia sono salda nella mia convinzione che si tratti di un’opera mediocre.

Il punto a favore di My Holo Love è la durata: sono solo 12 puntate, quindi scorre via rapidamente, e non si può dire che mi abbia spinto a droppare. E’ di facile visione, leggero come la carta velina.

Non mi stupisce che piaccia, perché ci sono tanti elementi tipici del kdrama classico: l’amore predestinato, la solitudine dei protagonisti, gli alti e bassi della relazione prima della Grande Felicità, il triangolo d’amore, gli intrighi aziendali, una seconda coppia intrigante, e via discorrendo.

L’elemento che non deve mancare se si vuole apprezzare questa serie è la sospensione dell’incredulità.

Bisogna credere all’amore improvviso e senza motivazioni di Nan-do per So-yeon. Bisogna credere a una donna matura che non capisce la differenza tra un essere umano e un ologramma. Bisogna credere a una tecnologia in odore di fantascienza. Bisogna credere che a Seoul nessuno prende per pazza una tipa che costantemente parla e interagisce da sola… e l’elenco potrebbe continuare.

In conclusione, quel che sto dicendo è che My Holo Love è scritto male, con poca logica e coerenza. Non è tanto l’incredibilità delle situazioni a far storcere il naso. E’ proprio la bassa qualità di sceneggiatura (e recitazione) a rendere questo drama un flop a tutti gli effetti.

Voto: 4/10

Numero puntate: 12

Durata: 50 min. circa

Dove vederlo: Netflix

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