Corea del Sud: tra le ventenni è record mondiale di suicidi. Un dato sconvolgente, perché dietro quei numeri ci sono ragazze che studiano, lavorano, vivono nelle città iper-moderne di Seoul e Busan — eppure si sentono intrappolate.
Il Paese che ha fatto del progresso la sua bandiera oggi si trova a fare i conti con un dolore silenzioso e profondo: quello delle giovani donne, le più colpite da un malessere diffuso.
In questo articolo scoprirai quali sono i numeri di questa crisi, come si confrontano con il resto del mondo e perché la Corea del Sud, per molte ventenni, è diventata un luogo dove sopravvivere è più difficile che vivere davvero.
Cosa dicono i numeri: un drammatico primato
Uno studio internazionale citato dalla stampa coreana (The Korea Times) segnala che le donne coreane tra i 20 e i 39 anni registrano 18,9 suicidi ogni 100.000 abitanti, il tasso più alto tra i Paesi analizzati. È quasi quattro volte la media globale femminile per la stessa fascia d’età, e supera il Giappone (12,0) e gli Stati Uniti (6,8). Il fenomeno è in crescita dal 2016.
Se negli ultimi anni la Corea ha visto calare il tasso complessivo dei suicidi dopo l’introduzione di politiche di prevenzione, l’allarme resta alto tra le giovani adulte. I dati ufficiali mostrano una tendenza alla riduzione dal 2020 sul totale popolazione, con picchi di rischio proprio nelle fasce teen-20-30.
Perché il primato colpisce proprio le giovani donne
Dietro l’aumento dei suicidi tra le giovani donne coreane si intrecciano fattori economici, culturali e psicologici.
Il primo riguarda il lavoro. La Corea mantiene da anni il peggior divario salariale dell’intera area OCSE. Nel 2024 le donne hanno guadagnato in media quasi un terzo in meno degli uomini. Una disparità che non è solo numerica, ma esistenziale: meno reddito significa minore autonomia, più incertezza, più fatica a immaginare un futuro indipendente.
A questa diseguaglianza si aggiunge la pressione costante della società coreana, che premia la performance in ogni ambito: nello studio, nel lavoro, perfino nell’aspetto fisico. Le giovani donne vivono sotto un doppio standard che le obbliga a essere impeccabili ma le lascia sole nel momento in cui crollano.
C’è poi la solitudine urbana, una piaga sempre più diffusa nelle metropoli coreane. Seoul, che brilla di luci e innovazione, nasconde un disagio profondo. Migliaia di giovani vivono isolati, senza legami stabili, spesso in micro-appartamenti dove il contatto umano si riduce a quello virtuale. Le istituzioni hanno iniziato a riconoscere il problema, con programmi contro le cosiddette morti solitarie, ma gli interventi restano parziali.
Infine, il mondo digitale — che per molti rappresenta l’unica finestra verso l’esterno — può trasformarsi in una trappola. Le molestie online, i deepfake pornografici, le campagne misogine diffuse sui social e nei forum creano un clima di paura e di umiliazione. È una violenza invisibile ma quotidiana, che si somma alla fatica di vivere in una società dove essere donna significa, ancora, partire svantaggiata.
Suicidi in Corea del Sud: come affrontare l’emergenza
Affrontare questa crisi richiede molto più di qualche campagna di sensibilizzazione. Servono politiche concrete che garantiscano una parità salariale reale e riducano il lavoro precario, così da permettere alle donne di costruirsi un futuro indipendente.
È altrettanto urgente rendere la salute mentale accessibile e accettata, perché in Corea andare in terapia è ancora visto come un segno di debolezza. Molte persone evitano di chiedere aiuto per paura di essere giudicate o discriminate sul lavoro, e finiscono per affrontare i momenti di difficoltà da soli.
Anche il mondo digitale va regolato meglio, con leggi che fermino più rapidamente molestie, deepfake e odio online, ormai parte della violenza quotidiana.
Infine, la lotta contro la solitudine — che non è solo individuale ma sociale — deve diventare una priorità. Servono spazi di incontro, e orari di lavoro sostenibili. Solo allora la Corea potrà dirsi un Paese in cui le giovani donne non dovranno più scegliere tra vivere e resistere.
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Essere donna in Corea del Sud



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